Nei bassi fondi del mar Ionio c’è una “finestra” che spiega il progressivo allontanamento della Sicilia dalla Calabria. L’ha scoperta Alina Polonia, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Cnr e autrice dello studio pubblicato sulla rivista “Nature Communications”. Il dato che vuole l’area che va dal Tirreno allo Ionio ad alto rischio sismico non è nuovo invece. Nell’ultimo secolo, dopo la catastrofe del 1908 che provocò oltre 120mila vittime, lo stretto di Messina è stato studiato da molti scienziati venuti da tutto il mondo per capire la complessa conformazione geologico strutturale dell’area. Nessun dubbio sul fatto che le due regioni fossero unite in principio. Lo confermano, ad esempio, le molteplici analogie che si osservano tra le catene montuose dell’ultimo tratto della Penisola (Aspromonte) e quelle isolane (monti Peloritani). Diverse scosse le hanno allontanato la Sicilia dalla Calabria e reso l’area dello Stretto una fossa tettonica generatasi dallo sprofondare della crosta terrestre. Tutti questi movimenti hanno contribuito a determinare lo sviluppo dei vulcani e di isole di origine vulcanica nell’area mediterranea. (agg. di Silvana Palazzo)
PROFONDE SPACCATURE SOTTO IL MAR IONIO: LA SCOPERTA
Da cosa dipende il lento allontanamento della Sicilia dalla Calabria e come mai questa zona è considerata ad alto rischio sismico? Le due domande apparentemente lontane l’una dall’altra, in realtà sarebbero accomunate dalla medesima spiegazione che sarebbe da rintracciare nella scoperta di una sorta di “finestra”, ovvero un sistema di spaccature profonde, proprio sul fondale del Mar Ionio. È quanto emerso da una ricerca condotta dagli studiosi dell’Istituto di scienze marine Ismar-Cnr di Bologna, dell’università di Parma, dell’Ingv e del Geomar (Germania) e che ora trova spazio su Nature Communications. I risultati di tale ricerca, come riporta Corriere.it citando Alina Polinia, ricercatrice del Cnr, assume oggi una elevata importanza dal momento che sarà ora possibile monitorare in modo costante ed accurato il sistema di faglie che è stato scoperto non lontano dalle coste, in una zona compresa tra lo Stretto di Messina e l’Etna. La scoperta effettuata ha assunto una elevata importanza poiché andrebbe a confermare i rischi geologici ben noti nella zona. Le medesime faglie in mare, come spiega l’esperta Polonia, controllano anche la formazione del Monte Etna e questo andrebbe a confermare il fatto che sarebbero in grado di innescare processi vulcanici e causare al tempo stesso terremoti. “Queste faglie, infatti, sono profonde e lunghe decine di chilometri, e separano blocchi di crosta terrestre in movimento reciproco”, ha aggiunto all’Ansa la ricercatrice del Cnr.
TERREMOTI, L’ESPERTA DEL CNR: “SCOPERTA IMPORTANTE”
La scoperta permetterà inoltre di poter comprendere la formazione delle catene montuose e come tali processi siano di fatto legati ai forti terremoti avvenuti nel corso della storia in Sicilia e Calabria. Alina Polonia è intervenuta questo pomeriggio anche su RaiNews24 spiegando l’importanza dello studio effettuato ed i risultati che esso ha prodotto: “Questa zona è una zona sismica, caratterizzata da una sismicità storica ben conosciuta, sappiamo che ci sono stati terremoti storici e l’aver individuato fratture così profonde ci permetterà di valutare il rischio sismico in modo più attendibile”, ha detto. Ciò, a sua detta, conferma anche l’ipotesi che l’origine del vulcanesimo sia legato a queste strutture che essendo così profonde e lunghe possono generare terremoti. Grazie a questa scoperta sarà possibile anche ricostruire e avere dati attendibili per capire gli scenari futuri e l’evoluzione di questa zona nel tempo. In merito all’allontanamento della Sicilia dal resto dell’Italia, l’esperta ha confermato come le faglie si muoverebbero in modo molto lento, dunque non si può parlare di catastrofe. “Le strutture che abbiamo trovato noi hanno tassi di movimento piuttosto lento, si parla di 3-4 millimetri all’anno non di più”, ha dichiarato. “A livello geologico non sono tassi molto alti rispetto ad altre zone ma quello che un geologo deve verificare è la continuità di questi movimenti nel tempo”, ha quindi aggiunto.