A Montebelluna, in Veneto, un uomo di 59 anni dopo aver protestato mettendosi la vigilia di Natale con la sua auto davanti all’ex sede di Veneto banca, mercoledì 29 dicembre ha inserito la retromarcia spingendo l’auto contro la porta d’ingresso della banca e ponendo così fine alla protesta. L’atto dimostrativo, come è stato definito dagli organi di stampa locali, è stato in realtà la punta di massima esasperazione dell’uomo che, reso gravemente invalido da un incidente sul lavoro, aveva investito l’indennità assicurativa di centomila euro in azioni della banca. I soldi, come per centinaia di altri piccoli investitori, sono poi evaporati per la cattiva gestione dei titoli da parte della banca stessa, ai limiti della truffa, cosa di cui è piena la cronaca di questi giorni e riguardante altre banche in giro per l’Italia, in una casistica che conta drammaticamente coincidenze troppo numerose. Il sindaco della città, Marzio Favero, aveva fatto gli auguri di Natale all’uomo, Marin Haralambie, di origine rumena, portandogli assieme agli auguri una sorta di solidarietà cittadina. E nella stessa città era iniziata una gara con offerte di aiuto in cibo e quant’altro a chi protestava, fino alla finale rottura degli indugi e messa in moto dell’auto.
L’episodio, che è solo la punta dell’iceberg di una rabbia diffusa non solo tra chi ha perduto i propri investimenti contro le banche, rivela una volta di più, se ce ne fosse bisogno, di quale sia la situazione odierna. Innanzitutto, in ambito finanziario, non esiste più nessun vincolo morale. L’uso dei soldi altrui, a cominciare dalle migliaia di piccoli investitori, avviene con una spregiudicatezza, una noncuranza, persino un cinismo inedito e assurdo. L’idea della lealtà verso un povero cristo che affida quelli che sono i risparmi di una vita nelle mani di squali e squaletti della finanza è totalmente scomparsa. È la vittoria totale e finale del profitto, del denaro sull’umano, del guadagno facile sulla vita delle persone.
Perché due cose mi sembrano inoppugnabili: primo, chi operava in titoli per conto di queste banche conosceva perfettamente i rischi di un periodo che, è noto a tutti, viveva una forte crisi; secondo, quei soldi sono finiti nelle tasche di qualcuno. I titoli, le quotazioni, le borse possono essere volatili e virtuali quanto si vuole, ma i risparmi delle persone concrete no. In secondo luogo, mi stupisce che ci sia ancora chi si fidi ad affidare a certa gente (leggasi sempre le banche, le finanziarie ecc.) i propri risparmi, magari faticosamente accumulati in una vita o giustamente percepiti in seguito ad un rovinoso incidente sul lavoro, come nel caso di Montebelluna. Oppure no: l’idea che la vita conti solo per l’economia, del liberismo selvaggio, del guadagno facile è talmente penetrata nella nostra stessa antropologia da essere perfettamente normale.
Si potrebbe infatti chiedere al signore di Montebelluna e alle migliaia come lui: ma perché hai rischiato così i tuoi soldi? Pur nella perfetta ignoranza di quasi tutti sulle leggi del mercato, una cosa si sa: comprare titoli è come giocare d’azzardo. La risposta è molto semplice: è diventato normale pensare di poter guadagnare senza fare niente. Ciò che molti piccoli compratori di titoli sperano, insomma, è che il fatto stesso di avere soldi comporti la possibilità di farne altri. Guadagnare senza lavorare. Ciò che una volta, non troppi decenni fa, sarebbe stato considerato immorale (per non parlare dell’idea di usura medievale) oggi è passato per dovuto quasi. Ho due soldi, devono diventare quattro, per il fatto stesso di averli. Ma dove sta scritto?
Poi c’è sicuramente stata anche una mancanza di controllo da chi doveva invece vigilare, come la Banca d’Italia o il governo stesso. Ma chi l’ha detto che lo Stato dovrebbe poi rifondere chi, giocando in borsa, ha perduto tutto? Ma lo Stato non gestisce anche soldi delle mie tasse (non poche), di me che non gioco d’azzardo coi titoli di borse in crisi? Per pagare chi è succube della deviazione immorale del fare soldi senza fare niente faremo così ancora più debiti; anche noi, che siamo tuttora legati all’idea romantica che il denaro sia il giusto riconoscimento per il faticoso lavoro quotidiano.