Si chiama “il bisogno di pensare” la nuova fatica letteraria di Vito Mancuso e in questi giorni ha raccontato i diversi spunti lanciati dal suo libro in una lunga intervista ad Huffington Post. Teologo ex prete di Desio, da tempo sulla scia di quel cattolicesimo “democratico” che situa la propria formazione nella teologia di Martini e nella filosofia di Hans Kung, sono di certo numerose le provocazioni lanciate alla Chiesa del recente passato e alla novità di Papa Francesco, come spesso però tirato per la “giacchetta” per far passare la propria idea di chiesa e di Cristianesimo, non per forza aderente alla verità ufficiale della Chiesa Cattolica. Nell’intervista gli viene chiesto da dove è cominciata la sua passione per la teologia e la filosofia a metà tra “rossi” e “bianchi”: «Studiavo a Desio, a dieci chilometri da Milano. Era una zona operaia, vicino agli stabilimenti dell’Autobianchi. Democrazia proletaria era fortissima, come gli altri gruppi dell’estrema sinistra. Desio, però, aveva anche una grande tradizione cattolica. È la città di Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. E ogni manifestazione finiva nella piazza che ospita la statua di Pio XI – anch’egli nato lì – con una bandiera rossa inforcata tra le tre dita benedicenti», spiega Vito Mancuso che poi precisa meglio, «io stavo tra gli extraparlamentari di sinistra e ai ragazzi di Cielle. Ero vicino al cattolicesimo democratico, ma soprattutto ero lontano, anzi provavo allergia nei confronti di quei miei coetanei che sapevano già tutto della vita, che avevano in tasca una verità rossa, bianca oppure nera. Sentivo in loro una falsità. Avevo l’impressione che rimuovessero le contraddizioni dell’esistenza, nascondendosi dietro una citazione ritagliata dai loro testi di riferimento. Io, invece, cercavo la verità che c’era dentro ogni posizione».



“FRANCESCO DI SINISTRA, BENEDETTO XVI DI DESTRA”

Sulla scia della particolare passione di Vito Mancuso di voler “politicizzare” la dimensione della Chiesa, sia nel libro che nell’intervista non si tira indietro nel fornire una “etichettatura” degli ultimi due papati dai tratti quantomeno discutibili. «La Chiesa deve fare politica, fornendo un orientamento, parlando di economia, etica, giustizia sociale. Quello che non deve fare è scegliere un partito, anziché un altro. È innegabile che tra i due grandi principi che orientano la politica – la libertà (destra) e l’uguaglianza (sinistra) – Papa Francesco insista di più più sulla seconda». Nel definire meglio quello che voleva dire, il teologo va all’attacco: «Bergoglio papa di sinistra? È una definizione che il papa rifiuterebbe. Ma se applichiamo – un po’ impropriamente – le categorie politiche alla teologia è chiaro che a destra c’è la tradizione, a sinistra l’innovazione. Dunque: Ratzinger era una papa di destra, Francesco è un papa di sinistra». Secondo Mancuso, Papa Francesco ha una forza profetica stimabile e seguibile, ma si attesta un problema: «è così evidente che anche il mondo laico lo ascolta e lo considera un punto di riferimento. Nella Chiesa, però, una parte lo segue, un’altra lo avversa. Le tensioni sono diventate fortissime. C’è il rischio che il treno della Chiesa si spezzi».



TRA CARNE E VERGINITÀ

«L’inferno è un concetto teologicamente indegno, logicamente inconsistente, moralmente deprecabile», o ancora «il peccato originale è un’offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all’innocenza e alla bontà della natura»: già in passato Vito Mancuso ha rappresentato non proprio l’ortodossia incarnata del cattolicesimo, tanto da far scrivere a La Civiltà Cattolica «Mancuso svuota di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa». Questa volta parla della sua scelta di uscire dall’ordine sacerdotale: sì, si era fatto prete abbastanza giovane ma non riuscì ad accettare il “nodo” della carne. «Perché dopo un anno mi resi conto che la mia vocazione era sì teologica, ma non sacerdotale. Due cose non mi appartenevano: una era l’obbedienza alla dottrina, l’altra era la rinuncia a esercitare la mia affettività anche a livello sessuale. Alla prima avrei potuto ovviare diventando uno di quei preti ribelli come Don Gallo. Per la seconda, invece, non c’era soluzione». È qui che Mancuso si arrampica in una complessa spiegazione sulla fatto che la differenza tra Dio e l’uomo non è poi così distante: «C’è un grande filone del pensiero teologico che crede ci sia un’infinita differenza qualitativa tra Dio e l’uomo, per cui seguire Dio significa fare un salto nel grande mistero, vivere la fede come cecità, fino a negare se stessi e opporsi alla ragione, scandalizzando il mondo. Ma questa non è la mia visione della fede […]. Dio è la forza che guida la corrente e la meta verso cui la corrente si dirige. È sorgente e porto, alfa e omega. E non c’è opposizione tra dimensione umana e teologica, tra corpo e spirito: è nell’armonia tra di esse che Dio si manifesta». Il problema che rimane è proprio quello della carne, dove Mancuso rischia di concepire uno scontro laddove in realtà scontro non c’è: se da un lato è verissimo quello che dice Mancuso sul fatto che Dio “è nell’armonia tra corpo e spirito”, dall’altro la vocazione del prete nella Chiesa Cattolica sebbene si fondi sul concetto di verginità non è per nulla estranea alla carne. «La verginità cristiana può essere compresa soltanto alla luce della fede. Essa è imitazione di Cristo, la forma più alta d’immedesimazione con la sua umanità. Gesù ha vissuto una completa dipendenza amorosa dal Padre. Il Figlio e il Padre sono una cosa sola, egli fa quello che il Padre gli dice, quello che piace al Padre (cfr. Giovanni , 8, 28-29; 10, 30; 14, 31). Questo è innanzitutto la verginità: vivere interamente per Dio, partecipare della sua volontà, dedicare tutte le proprie energie al suo regno nel mondo», spiegava sull’Osservatore Romano il Vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca.