Scontro in atto e non di poco conto sul caso di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano ucciso brutalmente in Egitto il 25 gennaio 2016 a Il Cairo: domenica scorsa sul Guardian è apparsa un appello dell’Università di Cambridge (per cui lavorava il ricercatore torturato e ucciso) con ben 334 tra professori, accademici e dirigenti che contestano fortemente gli articoli de La Repubblica che negli scorsi mesi aveva posto l’attenzione sulla mancata collaborazione dell’Università inglese e della professoressa Maha Mahfouz Abdelrahman (il supervisore di Regeni, ndr) con la magistratura italiana. L’appello recita così: «Respingiamo le accuse malevole e infondate fatte contro la dottoressa Maha Abdelrahman sul quotidiano italiano La Repubblica il 2 novembre 2017. […] Nonostante le forti prove che hanno implicato le forze di sicurezza egiziane nell’omicidio di Giulio, l’articolo di La Repubblica suggerisce che il dott. Abdelrahman sia responsabile, sostenendo che ha incaricato Giulio di ricercare un argomento che sapeva essere pericoloso e che era riluttante a perseguire. Queste accuse sono assurde. Non solo non è così che funziona la supervisione, ma Giulio era stato interessato ai sindacati indipendenti per anni, e aveva esperienza di lavoro in Egitto prima di rivolgersi al Dr Abdelrahman per la supervisione. Né c’era alcuna indicazione al momento che questa ricerca rappresentasse una minaccia per la vita». Il giornale diretto da Mario Calabresi viene così additato di aver clamorosamente errato nel indicare elementi poco chiari nella gestione di Cambridge di tutta la triste vicenda di Giulio Regeni.



LA REPLICA DE “LA REPUBBLICA”

Detto dell’appello firmato dagli accademici inglesi, i dubbi, gli elementi poco chiari anche dell’Università prestigiosa, restano eccome. Tirata alle estreme conseguenze, il reportage di Repubblica sul caso Regeni, oltre a chiedere giustizia per il ragazzo trovando i veri responsabili in Egitto, arriva a porre la questione anche a Cambridge: l’università chiarisca il perché Regeni, che collaborava e agiva in nome di Cambridge, non sia stato “protetto”, o peggio si sia stato “usato” per compiere indagini non ben chiare nel mondo egiziano; e perché le autorità inglesi non hanno fornito collaborazione su questo punto. Innanzitutto, il Guardian non ha contattato Repubblica per una replica concessa di norma a tutti: e giustamente il quotidiano italiano l’ha scritta comunque e l’ha pubblicata oggi. «Repubblica ha sempre scritto che il rapimento, le torture e l’assassinio di Giulio Regeni sono interamente responsabilità delle autorità egiziane. Ed è stata la prima a farlo indicando nomi e cognomi dei responsabili della sorveglianza nei confronti di Regeni e dei depistaggi sulla sua morte condotti al Cairo. Ha sempre sostenuto che i ritardi da parte del governo e della magistratura egiziana nell’accertare queste responsabilità sono inaccettabili. E ha contestato la decisione del governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo nonostante l’assenza di sviluppi significativi nella collaborazione da parte delle autorità egiziane», si legge nella versione online del giornale romano. Ma tutto questo non toglie la domanda e i punti poco chiari sul ruolo di Cambridge in tutta la vicenda: «Repubblica non intende tacere la mancata collaborazione all’inchiesta giudiziaria da parte della professoressa Abdelrahman e dell’Università di Cambridge. Tutto ciò è stato rilevato dalla magistratura italiana, che un mese prima del nostro articolo ha chiesto alle autorità britanniche l’interrogatorio formale della professoressa. Una richiesta che dopo quasi due mesi non ha ancora ricevuto risposta».



I DUBBI SULLA PROFESSORESSA

Non è la prima volta che la professoressa tra l’altro si rifiuta di collaborare, come avvenuto anche nel giugno 2016 davanti alla rogatoria della magistratura (mandò in quel caso una breve dichiarazione scritta). I magistrati italiani hanno poi scritto nelle carte: «una conversazione avvenuta sulla chat di Skype il 26 ottobre 2015 tra Regeni e le madre Paola consente di sapere come Giulio viva le sue ricerche al Cairo e di scoprire come fosse stata la professoressa Abdelrahman a insistere perché approfondisse il tema specifico della sua ricerca e con le modalità partecipate». E da ultimo, altre testimonianze riportate sempre dalla magistratura in Italia rilevano come vi siano «figure di alcuni studenti dell’Università di Cambridge inviati in Egitto per questo tipo di ricerca e allontanati dalle autorità egiziane. In particolare lo stesso Giulio Regeni raccontava agli amici di una sua collega di Cambridge che, mandata in Egitto l’anno precedente per svolgere la sua stessa ricerca, era stata espulsa dal paese e aveva dovuto ricorrere alle cure di uno psicologo per i traumi riportati nell’esperienza egiziana». La ricerca della verità rimane, la possibilità di chiarire ogni punto non risolto pure: la disponibilità finora dimostrata da Cambridge, confermato dopo l’appello di domenica, non sembra andare esattamente in questa direzione.