Chiamatela “obiezione di coscienza”, chiamatelo coraggio civile, chiamatelo come vi pare, ma quanto sta succedendo in Germania in queste ultime settimane è alquanto singolare e merita almeno l’attenzione di qualche minuto. Sempre più spesso accade in Germania che i piloti delle compagnie aeree si rifiutano di portare nei Paesi natii migranti o richiedenti asilo respinti dal Governo tedesco con l’ordine di rimandarli indietro. Addirittura, tra gennaio e giugno del 2017 sono stati ben 222 i piloti di diverse compagnie aeree che si sono rifiutati di obbedire ad un ordine governativo; o meglio, gesti singoli e individuali che però a poco a poco si sono diffusi a macchia d’olio tra le varie compagnie aree, tra cui Lufthansa, 63 blocchi, Germanwings (con 37 espulsioni bloccate), poi quelli di Qatar Airways (18), Air Algerie (16), Air Berlin (12), come riporta la risposta del Governo federale dopo l’interrogazione parlamentare della deputata di Linke, Ulla Jelpke. In Germania la chiamano Zivilcourage, coraggio civile letteralmente, e poco in effetti ci manca nel definire una modalità assai stravagante eppure efficace di protestare contro quelle che vengono viste come scelte ingiuste da parte della politica.



LA PROTESTA E IL DRAMMA

Resta ovviamente un nodo politico e sociale alla base di questa particolare decisione: lo Stato compie il suo dovere e, non potendo accettare in patria tutti i richiedenti asilo (o presunti) emette espulsioni e fogli di via verso varie ondate di migrazione, da ultima quella per 78 afghani prevista – come ricorda il Corriere della Sera oggi – proprio per oggi all’aeroporto di Francoforte sul Meno, direzione Kabul (Afghanistan). «La decisione di non far salire qualcuno a bordo spetta al comandante, noi come compagnia siamo obbligati ad accettare chiunque abbia un biglietto valido. Le autorità ci avvertono quando c’è un passeggero con foglio di via, la polizia lo accompagna fino all’imbarco ma non viaggia con lui. E il pilota non può opporsi per motivi giuridici a un’espulsione ma può decidere di far scendere un passeggero, qualunque passeggero, se ritiene che possa costituire un pericolo per la sicurezza del volo», spiega al telefono un portavoce di Lufthansa davanti alle domande incalzanti del Corriere. Resta ovviamente il problema di come gestire queste migrazioni, ma la risposta di una fetta importante della società è quella di distinguere tra chi merita di essere espulso per motivi di terrorismo o per falsa richiesta d’asilo, e chi invece vive situazioni di oggettiva difficoltà in patria che rispedirveli non sarebbe una mossa umanitaria accettabile.



Caso limite è proprio l’Afghanistan: la Merkel lo considera uno stato altamente sicuro, ma ad esempio leggendo cosa dice anche ultimamente Amnesty International, «il numero di vittime civili nel Paese è drammaticamente alto: oltre undicimila l’anno scorso, ottomila tra gennaio e ottobre. Il governo nello stesso periodo ha rimpatriato già 132 afghani. Ma è vietato rimandare le persone nei Paesi in cui rischiano la vita». La contraddizione arriva quando si scopre che è proprio il governo di Berlino a ricordare ai vari operatori di volo tedeschi negli ultimi mesi di non volare su Kabul per il «forte pericolo di attacchi con razzi e artiglieria di terra all’aeroporto», spiega l’agenzia per i diritti umani ProAsyl. La soluzione dell’intricata vicenda ovviamente non può essere decisa da alcuni piloti tedeschi, starebbe alla politica cercare di trovare un compromesso e una soluzione non legata a meri calcoli: forse, quel “coraggio civile” servirà almeno a riflettere sul da farsi nelle prossime politiche migratorie.

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