«[…] e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male»: la parte finale del Padre Nostro, la preghiera insegnata da Gesù ai suoi discepoli è da secoli centro di un dibattito tra canonici, traduttori ed esperti teologi per una traduzione italiana particolarmente ambigua. Schiere di commentatori, e anche molti preti nel passato come nel presente, lamentano che con questo tipo di traduzione passi il significato che è Dio stesso che come se “spingesse” per farci andare nelle tentazione del peccato. Papa Francesco, nel dialogo con Don Marco Pozza nella trasmissione “Padre Nostro” – il seguito delle otto puntate in cui il Pontefice dialoga con il cappellano del Carcere di Padova rispondendo ai vari punti cardine della fede cristiana proprio a partire dalla sequenza della preghiera insegnata da Gesù – ha espresso con chiarezza, una volte per tutte, di cosa si tratta con quel tipo di formula: «è una traduzione non buona […] non è infatti Dio a farci cadere nelle tentazione, ma sono io che sono caduto». Secondo il Pontefice dunque non bisogna imputare a Dio la “tentazione” lanciata sull’uomo, ma piuttosto è un altro il vero responsabile di quella “induzione”: «quello che ti induce in tentazione è Satana, è sempre ufficio di Satana, da qui non si scampa», ammette ancora con chiarezza Papa Francesco, intervenuto nella settima puntata del programma dedicato proprio al dialogo sulla preghiera centrale del cristianesimo.
UNA TRADUZIONE SBAGLIATA
Si tratta dunque di una traduzione sbagliata e il Papa lascia intendere che a breve si potrebbe correre ai rimedi anche in Italia dopo che altri Paesi hanno provveduto a modificare leggermente la formula per rendere pienamente diritto al senso originale del Padre Nostro. «Anche i francesi hanno cambiato il testo con una traduzione che dice ‘non mi lasci cadere nella tentazione’ sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto, un padre non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito». In effetti, dopo anni di profonde discussioni sulla vicenda, la Chiesa episcopale francese ha pensato di cambiare il passaggio in cui si diceva simile a noi, «non sottometterci alla tentazione» (che già suona comunque meglio di “indurci in tentazione”), per sostituirlo con una versione corretta, «non lasciarci entrare in tentazione». A duemila anni dall’insegnamento di Gesù – come sappiamo dal Vangelo secondo Luca (11,1) – che rispondendo ai discepoli che chiedevano come pregare Dio, recitò loro il Padre Nostro, la traduzione italiana della preghiera potrebbe dunque subire una importante e necessaria “revisione”.