L’ultimo numero de La Civiltà Cattolica, il n. 4000, rappresenta un traguardo straordinario della gloriosa rivista dei Gesuiti sorta più di 100 anni fa, il 5 aprile 1850. Il numero speciale, in una sgargiante copertina rossa, pubblica il lungo colloquio di papa Francesco con i superiori degli ordini religiosi trascritto da p. Antonio Spadaro. In anteprima ampi stralci dell’intervista sono stati pubblicati nel Corriere della Sera di ieri. Tra le varie osservazioni de Papa due cose ci colpiscono. Riguardano l’educazione religiosa dei giovani, il loro cammino vocazionale, e la vita di fede in seno agli ordini religiosi. 



Riguardo al primo aspetto Francesco torna ad insistere su un tema a lui molto caro: la critica ad una educazione intellettualistica, formale, astratta. L’educazione cristiana è formativa se risponde alle esigenze autentiche della vita, se dà loro soddisfazione, se non comprime l’umano ma lo fa crescere. Ciò è possibile se l’educazione cristiana non si risolve nell’apprendimento di una dottrina, a cui la vita deve adeguarsi, ma diviene un’esperienza capace di riscattare, di giudicare e di valorizzare la totalità del vissuto, senza censurare nulla. Questa prospettiva assume il suo senso critico in relazione ad un tempo, il nostro, che reso fluido dal crollo di tutte le certezze brama, comprensibilmente, punti fermi cadendo però, per questo, in semplificazioni e pretese. 



La prima delle quali è credere che la fede rinasca da parole forti, da valori assoluti, da confini netti. Si ripete una situazione analoga a quella degli anni Venti del secolo passato. Vale per essa la lezione di Romano Guardini, il quale di fronte allo slogan di Carl Sonnenschein, assistente spirituale dei giovani nella Berlino degli anni Venti — “Siamo in una città assediata; perciò non ci sono problemi, bensì soltanto parole d’ordine” — osservava: “Questo motto può fare impressione, ma è sbagliato. Non si possono congedare i problemi; chi li avverte, deve applicarvisi, specialmente se è responsabile sul piano intellettuale e spirituale. La prassi autentica, cioè l’agire giusto, deriva dalla verità, e per essa bisogna lottare […] in ogni caso io mi applicavo all’interrogare e non potevo lasciarmi aggiogare alla sua prassi. So che mi ha giudicato in modo molto aspro; mi vedeva come un uomo che suscita inquietudine. In verità temo che fosse proprio così, che egli non sopportasse alcun interrogativo”. In modo analogo il Papa, ripreso spesso perché il suo parlare susciterebbe “inquietudine” e non certezze, afferma: 



Nella formazione siamo abituati alle formule, ai bianchi e ai neri, ma non ai grigi della vita. E ciò che conta è la vita, non le formule. Dobbiamo crescere nel discernimento. La logica del bianco e nero può portare all’astrazione casuistica. Invece il discernimento è andare avanti nel grigio della vita secondo la volontà di Dio. E la volontà di Dio si cerca secondo la vera dottrina del Vangelo e non nel fissismo di una dottrina astratta. … La Chiesa deve accompagnare i giovani nel loro cammino verso la maturità, e solo con il discernimento e non con le astrazioni i giovani possono scoprire il loro progetto di vita e vivere una vita davvero aperta a Dio e al mondo… Questo comunque è il punto chiave: il discernimento, che è sempre dinamico, come la vita. Le cose statiche non vanno. Soprattutto con i giovani. Quando io ero giovane, la moda era fare riunioni. Oggi le cose statiche come le riunioni non vanno bene. Si deve lavorare con i giovani facendo cose, lavorando, con le missioni popolari, il lavoro sociale, con l’andare ogni settimana a dar da mangiare ai senzatetto. I giovani trovano il Signore nell’azione. Poi, dopo l’azione si deve fare una riflessione. Ma la riflessione da sola non aiuta: sono idee… solo idee“. 

Il secondo giudizio che merita attenzione è quello della vita negli istituti religiosi. La visione del Papa, qui come sempre, è realistica.

La diminuzione della vita religiosa in Occidente mi preoccupa. Ma mi preoccupa anche un’altra cosa: il sorgere di alcuni nuovi Istituti religiosi che sollevano alcune preoccupazioni. Non dico che non debbano esserci nuovi Istituti religiosi! Assolutamente no. Ma in alcuni casi mi interrogo su che cosa stia accadendo oggi. Alcuni di essi sembrano una grande novità, sembrano esprimere una grande forza apostolica, trascinano tanti e poi… falliscono. A volte si scopre persino che dietro c’erano cose scandalose… Ci sono piccole fondazioni nuove che sono davvero buone e che fanno sul serio. Vedo che dietro queste buone fondazioni ci sono a volte anche gruppi di vescovi che accompagnano e garantiscono la loro crescita. Però ce ne sono altre che nascono non da un carisma dello Spirito Santo, ma da un carisma umano, da una persona carismatica che attira per le sue doti umane di fascinazione. Alcune sono, potrei dire, ‘restaurazioniste’: esse sembrano dare sicurezza e invece danno solo rigidità. Quando mi dicono che c’è una Congregazione che attira tante vocazioni, lo confesso, io mi preoccupo. Lo Spirito non funziona con la logica del successo umano: ha un altro modo. Ma mi dicono: ci sono tanti giovani decisi a tutto, che pregano tanto, che sono fedelissimi. E io mi dico: ‘Benissimo: vedremo se è il Signore!’. Alcuni poi sono pelagiani: vogliono tornare all’ascesi, fanno penitenze, sembrano soldati pronti a tutto per la difesa della fede e di buoni costumi… e poi scoppia lo scandalo del fondatore o della fondatrice… Noi sappiamo, vero?“.

La valutazione, com’era prevedibile, ha suscitato le consuete, malevole critiche dei tradizionalisti che hanno rimproverato Francesco per questa “smobilitazione”, per la sua diffidenza verso gli Istituti che garantiscono vocazioni numerose. Il problema dei critici è che hanno la memoria corta, o, meglio, selettiva. Dimenticano, per esempio, che uno degli ordini religiosi più fiorenti, nella Chiesa cattolica degli anni Novanta-inizi del duemila, furono i Legionari di Cristo fondati da p. Marcial Maciel Degollado. Severi, intransigenti nella custodia della tradizione, i Legionari, che godevano di alte protezioni in Vaticano, erano guidati da un uomo che, come si sarebbe scoperto, era degno di una storia di Dan Brown. Papa Benedetto XVI, che lo priverà di ogni ministero pubblico obbligandolo al silenzio, definirà Maciel “un falso profeta” che ha condotto una vita “al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, distorta”. 

Si tratta di un esempio clamoroso, che probabilmente non ha precedenti nell’intera storia della Chiesa, ma che fa capire come le preoccupazioni del Papa siano l’esito di un discernimento. La forza dei Legionari, in mezzo ai quali vi erano ottimi sacerdoti, il loro fascino, sorgeva, in larga misura, dalla reazione ad un tempo di incertezze, di relativismo etico. Da qui la massa delle vocazioni, il desiderio di trovare un porto sicuro nel marasma generale. 

Una posizione analoga portò, nel caos della Chiesa postconciliare, i seguaci di mons. Lefebvre a distaccarsi da Paolo VI, giudicato incerto, amletico, modernista. Anch’essi bramavano certezze, una tradizione solidificata, una Chiesa chiusa e perimetrata nella sua fortezza. Le situazioni si ripetono nel ritorno di condizioni storiche analoghe. Il mondo cattolico vive oggi, come tutti, la crisi della globalizzazione e il passaggio d’epoca. Il Papa vuole che gli Istituti religiosi siano un luogo di educazione cristiana autentica, che valutino le vocazioni con discernimento, non che ingrossino le proprie fila per il timore di scomparire o, più semplicemente, per prestigio e vanagloria. 

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