Josephine, Ange Gardien (Josephine, Angelo Custode) è il titolo di una serie televisiva che dal 2013 va in onda su La7. Si tratta di un angelo custode intorno alla quale si intrecciano storie sentimentali e di colore, piacevoli, di buon cuore… che lasciano pieni di buoni sentimenti; ma c’è un ma: l’angelo custode in questione è interpretato da un’attrice di bassa statura, quella che un tempo si sarebbe detto “nana”. Non so se avete fatto caso al fatto che oggi di “nani” non se ne vedono in pratica più, perché, individuati prima della nascita, semplicemente vengono non fatti nascere; e lo dice uno dei maggiori studiosi mondiali di nanismo, il professor J. Maroteaux sulla rivista Archives de Pediatrie di qualche anno fa, e nulla fa pensare che le cose siano andate meglio. 



L’articolo che scriveva si intitolava significativamente: “I nani hanno ancora diritto di cittadinanza?”. Ora, vedere che la figura del nano non viene associata a uno sguardo di integrazione anzi di diritto alla salute e di diritto alla normalità, ma a uno sguardo di anormalità, stravaganza, diversità seppur nelle spoglie di un angelo, ci preoccupa. La diversità dovrebbe trovare nei mass media una cassa di risonanza che sottolinei i loro diritti e la loro normalità in quanto persone, e non una risonanza della diversità e dell’anomalia. 



Recentemente il professor Luca Fiorito dell’Università di Palermo, in un documentario andato in onda su TV2000, denunciava una simile discriminazione rivolta alle persone con albinismo dipinte come non integrabili, come “diverse”, in una puntata significativamente intitolata “La cultura dello scarto”. 

Insomma, non è ignoto a nessuno che chi non è conforme oggi incontri una società che non lo sa integrare, che lo scarta; a meno che non si presenti come fenomeno da baraccone; e in questo preoccupano anche le manifestazioni di persone gigantesche o di “nani”, protagoniste per necessità o per audience in programmi sui record, come se una persona valesse solo per la sua diversità, arrivando a vedere scene grottesche come quelle di “nani” estremamente piccoli o anche con voce infantile presi in braccio come fossero bambini piccoli, cosa che se ci si riflette cozza con la semplice parola rispetto.



Basti invece ricordare come buon esempio mediatico, una puntata della serie Dr. House – Medical division in cui una donna “nana” rifiuta di essere presa in braccio dal dottore, cosa che poteva sembrare anatomicamente dovuta, ma che era umanamente inappropriata. Sottolineiamo anche delle trasmissioni della serie Il testimone in onda su MTV in cui il problema del nanismo (o più correttamente della bassa statura) viene affrontato con realismo, senza piagnistei, senza ignorare la sofferenza, senza indebite santificazioni e, soprattutto, senza inconsce prese di distanza.  

Riflettiamo allora se vedere un angelo interpretato da una persona “diversa” è una casualità o una sottolineatura della diversità che in fondo dà il messaggio che i nani al massimo sono degli angeli, cosa che sembrerebbe un complimento che prende al cuore le persone buone, ma che sottolinea una diversità. E sottolineare una diversità è il modo migliore per non farla integrare, per stigmatizzarla, per emarginarla. 

I mass media sono debitori verso il mondo della diversità: per non parlarne, per arrivare a un’inconscia censura (ricordiamo come fu richiesto di allontanare dalla Tv inglese la giornalista senza un braccio) mostrando la disabilità solo in “riserve indiane”. Non si fa così un buon servizio al diritto alla salute.