Il Festival è finito, parliamo del Festival.
Premessa: vale la pena di prenderlo sul serio? Sì, visti gli indici di ascolto e il fatto che sicuramente le canzoni (specie quella di Gabbani e quella della Mannoia) sono già diventate dei tormentoni che entrano nella zucca della gente, che fanno “cultura” o anche mentalità. E che il potere della musica sia quello di cambiare la testa è una verità che soltanto gli struzzi faticano a riconoscere come tale.
Bene, parliamone. Gabbani si è ripetuto. Dopo “Amen” ecco un’altra canzone che fa a pezzi la varia mitologia dell’uomo contemporaneo. Mi piace il fool, il buffone di corte, che va a corte (accettando la vetrina che il re gli consente) e prende in giro il re. Gabbani fa il Crozza con una canzone. E’ satira. Va bene, fa ballare e divertire.
La Mannoia ha invece la pretesa, o la missione, di convincerci che la vita è bella, sempre e comunque, e la sua canzone vuole essere non appena distruttiva come quella di Gabbani, ma costruttiva.
Molti l’hanno accolta come un testo sacro. Fiorella santa subito.
Cosa accomuna questi due tipi? Che legame c’è tra il pessimismo graffiante di Gabbani e l’ottimismo passionale della Mannoia? Un’assenza. Gabbani dice agli uomini: “Siete ridicoli, fate schifo”. Ma si ferma lì, non aggiunge nient’altro, non propone niente, non ci aiuta a venire fuori dallo schifo. La Mannoia dice: “Siete grandi, la vostra vita è grande”, ma parla per slogan, che in due minuti possono essere ribaltati (“La vita è perfetta, se cadi ti aspetta…” ma per favore!).
C’è un’assenza, di ragioni. Sono canzoni che lasciano lì il problema (lo fanno in due modi diversi) e quindi restano molto in superficie.
Mi direte: ma è Sanrermo, mica un manuale di sopravvivenza! Vi rispondo: avete ragione, è Sanremo. Basta solo che ci rendiamo conto che alla fine Sanremo arriva qui, ad una mancanza di ragioni. E che i tormentoni dei prossimi giorni sono solo questo.
Quindi cantiamole con gioia e sentimento, ma prendiamole con una sana capacità critica, magari mettendoci in cerca e facendoci domande, stimolati dall’assenza in fondo triste che ci mettono davanti.
Se non altro, in questo modo, non saranno state solo canzonette.