Riparte da zero il processo contro Rocco Schirripa, unico indagato per l’omicidio di Bruno Caccia, procuratore capo di Torino ucciso con quattordici colpi di arma da fuoco sotto casa sua la sera del 26 giugno 1983. Il processo era stato chiuso e Rocco Schirripa prosciolto dalle accuse per un errore procedurale che era finito con una sentenza di “non doversi procedere per assenza di condizioni di procedibilità”: adesso un nuovo procedimento è stato aperto per volontà del pubblico ministero Marcello Tatangelo, contro Rocco Schirripa, uomo vicino al clan mafioso del boss Domenico Belfiore, unico condannato come mandante dell’omicidio del procuratore capo Bruno Caccia. A incastrare i due, le intercettazioni di una telefonata e le dichiarazioni del pentito Domenico Agresta, che ha detto che fu Schirripa, insieme a un complice di cui non si vuole rivelare il nome per motivi di segretezza, a uccidere Bruno Caccia.
Il processo per l’omicidio di Bruno Caccia è stato sì riaperto contro Rocco Schirripa, ma parte già con un vizio di fondo: i giudici popolari sono stati cambiati, ma non quelli togati. Anche il presidente, Ilio Pacini Mannucci, che aveva dichiarato il non luogo a procedere è lo stesso. Su tutte le furie sono andati i legali di Rocco Schirripa, Anetrini e Foti, che hanno innanzitutto accusato la procura di Milano di non permettere all’imputato un’adeguata difesa (per non aver divulgato il nome del presunto complice), e poi hanno chiesto il non uso di tutte le intercettazioni telefoniche di Rocco Schirripa. Il processo ricomincia il 21 febbraio, e intanto i legali di Schirripa hanno fatto ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Gip di Milano, Stefania Pepe, che ha disposto la custodia cautelare in carcere dell’imputato. Nonostante l’esito del precedente processo, infatti, si ritiene che le prove a suo carico siano ancora valide.