Qualche volta le coincidenze fanno riflettere. Il 17 gennaio del 2008 papa Ratzinger avrebbe dovuto inaugurare l’anno accademico all’università “La Sapienza” di Roma, ma un gruppo di docenti glielo impedì. Il 17 febbraio di nove anni dopo è come se la comunità universitaria della capitale avesse un po’ riparato a quello schiaffo. Papa Francesco ieri è stato accolto con entusiasmo da docenti, studenti, personale dell’università “Roma Tre”. E’ arrivato puntualissimo sulla sua Ford blu, accompagnato dal comandante Giani e da padre Sapienza (nomen omen per una visita al tempio del sapere… ma del resto padre Sapienza è da sempre una presenza discreta a fianco dei papi, fin dai tempi di Wojtyla). Ha ricambiato il calore dei giovani studenti con la sua semplicità: sorrisi, selfie, carezze. Quando quattro studenti gli hanno posto domande brevi ma complesse, ha voluto rispondere a braccio, rinunciando al discorso preparato (e confessando con un sorriso che lui le domande le aveva già lette, come è naturale che sia…). Ha toccato temi sui quali torna spesso: la necessità del dialogo, l’accoglienza per i migranti, i danni di una economia senza scrupoli, la guerra strisciante e la violenza dei nostri tempi. 



A proposito, torna alla mente un’altra coincidenza, questa volta puntuale: esattamente quarant’anni fa, il 17 febbraio 1977, avveniva la cacciata di Luciano Lama dall’università “La Sapienza” di Roma, episodio simbolo di una triste stagione di violenze. Oggi quello del 1977, ma anche solo quello del 2008, sembra un mondo lontano. Forse non migliore, certo più confuso. Per questo molti studenti erano tesi ad ascoltare il papa, ma ancor più a guardare a lui, a come è, ai suoi gesti. E infatti, l’episodio più bello della giornata è stato il lungo incontro con Nour Essa, profuga siriana che il papa volle riportare direttamente in Italia sul suo aereo dall’isola di Lesbo e che ieri ha ritrovato studentessa universitaria, con un sorriso sul volto. Nour, che è musulmana, ha detto: “Il papa ha cambiato la mia vita e quella della mia famiglia”. Gesti concreti. 



Il rettore Mario Panizza ha ricordato che l’università “Roma tre” è giovane, ma soprattutto non è un recinto, un campus, ma è “dentro” la città. Ieri lo si percepiva fisicamente, perché lo spiazzo del rettorato col palco papale era circondato dagli alti casermoni popolari del quartiere ostiense. Così, ad ascoltare il papa c’erano anche due o tre massaie affacciate ai balconi, coi panni stesi. Chi la conosce sa che “Roma tre” si è sviluppata in un quartiere di fabbriche e capannoni dismessi, a macchia di leopardo, riqualificando un edificio dopo l’altro. E’ in un certo senso anche metafora del metodo papale: strappare un pezzo alla volta il terreno al degrado, palmo a palmo, giorno dopo giorno, in prima persona. 

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