Caro direttore,
Mentre leggo i vari interventi sul povero ragazzo che si è tolto la vita a Lavagna, percepisco dentro me un dolore ed un sentimento di stordimento, credo comune a molti. Siamo quasi atterriti dall’aggressività e e dalla confusione espressa dagli “esperti”, presi dalla premura di affermare il loro grande pensiero politico nel dire rabbiosamente “spinello sì… spinello no”.
Ad un certo punto vedo scorrere in tv le immagini della cara mamma che di fronte alla Madonna ed al figlio morto dice: “ci vogliono dire che fumare una canna è normale, che andare sempre oltre è normale… qualcuno vuole soffocarvi… cercate lo straordinario”. Mi ritorna in mente la bella faccia di Giussani che, con premura e decisione, ci educava a guardare e vivere “l’eroico nel quotidiano”. La donna, rivolgendosi poi alle famiglie, dice: “in queste ore ci siamo chiesti perché è successo, ma a cercare i perché ci arrovelliamo, la domanda non è perché, ma come possiamo aiutarci”.
Vorrei stare su questo punto perché decisivo: il come, purtroppo, è chiaro.
Il giovane portava dentro sé un dolore “antico”, quasi contrapposto alla giovane età. Una angoscia che, nonostante l’uso di “droghe leggere”, non riusciva a lenire.
Certo, come molti dicono, se non si fosse trovato immerso in quella grande vergogna, se non fosse intervenuta la Guardia di finanza, forse, non avrebbe buttato via quella giovane vita. Ma allora il vivere è solo esito di un caso?
Nell’esperienza che facciamo con tanti giovani in Pars, il quotidiano tende a divenire eroico dentro quell’arrovellamento che noi adulti temiamo e rimuoviamo. Cercare il perché, invece, diviene non solo ciò che da forza ai grandi, ma un “pungolo” che ci rende più vicini agli altri. Ed anche per i nemici può diventare nel tempo un punto di domanda.
Evitare questo “perché” ci rende deboli e può aprire le porte ai tanti spacciatori mediatici e non; comunque “siamo con la mamma” perché non ha inteso tacitare il grido del figliolo, non si è girata dall’altra parte tentando vanamente di dormirci su.
Certamente la morte di questo povero figlio d’Italia dice che noi adulti viviamo distrattamente non perseguendo sempre il “senso della nascita”.
In questa mattina piena di sole vedo i giovani in cura presso il Villaggio San Michele Arcangelo dirigersi verso la grande vigna e penso tra me e me: speriamo di non essere mai tranquilli, speriamo di non dimenticare mai di essere “fatti” da un Altro. Questa posizione di anima e corpo può aiutare i più piccoli a percepire un amore nel duro cammino che chiamiamo vita, certi che “solo Dio è grande”.
José Berdini
Pars, Villaggio San Michele Arcangelo