Trent’anni fa, tra il 1986 e il 1987 nasceva l’Auditel: iniziava una via di non ritorno per la televisione italiana. L’Auditel è un sistema di rilevazione degli ascolti tv basato sulla presenza in certe abitazioni di uno strumento detto Meter che trasmette alla centrale su che canale quella tv è sintonizzata e quale o quali dei familiari lo stanno vedendo. Tutto ciò ad un unico fine: vendere pubblicità. 



Fu il funerale dell’indice di gradimento, il precedente sistema di monitoraggio dei telespettatori basato su interviste da cui si desumeva se quanto era stato trasmesso piaceva o meno. Conseguenza: felicità per i mercanti di inserzioni pubblicitarie e crollo della qualità, dato che fa certo più ascolti il mattoide che urla in tv piuttosto che un programma di qualità. Da allora è stato tutto un susseguirsi di corsa al ribasso. Prima la pubblicità era un intermezzo tra i programmi, ora i programmi sono un mezzo per far vedere la pubblicità. Pubblicità che aveva un suo codice etico: in Carosello non si dovevano mischiare, negli spazi riservati a ciascun prodotto reclamizzato, i 3 minuti di un cartoon con i 45 secondi finali che dicevano chi aveva offerto quel cartoon. 



In trent’anni è cambiato un mondo anche per la tv indirizzata ai ragazzi: esistevano fasce protette, non c’era tv nel primo pomeriggio e al massimo si vedevano le comiche il sabato all’ora di pranzo prima del telegiornale. Poco ma buono; poco ma bene, visti i disastri di overdose televisiva che oggi abbassa il livello dei programmi, essendo le tv costrette a mandarne per 24 ore di fila dato che la pubblicità che possono trasmettere è concessa in proporzione delle ore di trasmissione; se trasmettessero meno farebbero meno pubblicità e meno soldi; dovendo trasmettere di più, infarciscono con le prime cose che trovano, con fondi di magazzino. 



Dovrebbero essere chiare due cose. La prima è che la tv non è una medicina, ma tutti ce la beviamo giorno e notte: campeggia nel centro del salotto come un altare, è sempre accesa così da mandarci messaggi inconsci anche quando leggiamo, stiriamo, giochiamo. La seconda è che la tv non la scegli tu ma è lei che sceglie te, dato che tu al massimo scegli un canale piuttosto che un altro, ma c’è un obbligo morale di guardarla la sera, invece di leggere un libro, chiacchierare in famiglia. I ragazzi che sono nutriti a pane e smartphone ormai snobbano anche la tv, ma non fa tanta differenza: finiscono per immergersi nella sua figlia minore, la multimedialità, che assorbe, isola e spara pubblicità a tradimento più della TV stessa. 

Questo ci rimanda a tristi fatti di cronaca recenti, quelli in cui la violenza si è consumata nelle mura domestiche tra figli e genitori, quella in cui si racconta di ragazzi per cui drogarsi diventa normale, ma anche quella per cui la scuola mette online voti e pagelle, dato che figli e genitori non parlano più. Perché questo è il segno dei tempi: un popolo di monadi, famiglie di sconosciuti, dove la parola d’ordine è non disturbare, dato che il mondo del lavoro porta i genitori a far babysitterare i figli da scuola e tv, i figli a saziarsi di qualcosa che fa le veci dei genitori dando un’illusione di sazietà di affetti, che può essere lo smartphone o lo spinello. L’American Academy of Pediatrics richiama proprio a questa tragedia: un popolo di adolescenti con la tv in camera, che è multimediale (dunque isolata) per 4-5 ore al giorno. E ci richiama a questa tragedia le parole della mamma del giovane suicida a Lavagna: “Vi vogliono far credere che faticare a parlarsi è normale. (…). Straordinario è mettere giù il cellulare e parlarvi occhi negli occhi. Invece di mandarvi faccine su whatsapp, straordinario è avere il coraggio di dire alla ragazza sei bella invece di nascondersi dietro a frasi preconfezionate. Straordinario è chiedersi aiuto proprio quando ci sembra che non ci sia via di uscita”. 

Forse un tempo la tv era paternalista e troppo seria, ma era di qualità alta e soprattutto lasciava parlare le persone; sicuramente non esisteva multimedialità, ma si sapeva parlare di più ai figli. Oggi in omaggio al moloch del mercato tutto è diventato silenzio; coperto da trasmissioni di livello mediocre, che raccontano nulla e che attirano con tutti i mezzi possibili verso mondi di mercati e shopping, di azzardo e di giochi basati sulla fortuna invece che sull’abilità. Contagiati da tanta mediocrità e nel silenzio delle famiglie, nelle cene consumate davanti allo smartphone o nella loro cameretta, i giovani vivono male e nascono insoddisfazione e depressione, violenza e autodistruzione.