Il processo di primo grado a carico di Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, si è concluso con una condanna all’ergastolo ma anche molti dubbi: l’uomo è stato vittima di un errore giudiziario? Sono in tanti, oggi, a sottolineare le zone d’ombra emerse nel corso del primo grado, a partire dal Dna, come evidenziato nel focus principale riprendendo le parole dell’avvocato Salvagni che compone la difesa dell’imputato. Eppure, come ricorda UrbanPost.it, per i giudici della Corte d’Assise di Bergamo ci sarebbero anche altri indizi gravi a carico di Bossetti, oltre alla prova regina del Dna. Tra questi i tabulati e le celle telefoniche, in merito alle quali si è espresso di recente Luigi Nicotera, tecnico forense che fa parte del team difensivo del presunto assassino di Yara Gambirasio su Libero Quotidiano. L’esperto ha asserito di essersi dedicato a lungo del cellulare e dei tabulati di Bossetti e da ciò sarebbe emerso che “in momenti compatibili con la presenza di Massimo in casa (ad esempio il sabato e la domenica) circa il 15 per cento del traffico generato e ricevuto dal suo telefono era fatto agganciando la cella che invece, secondo l’accusa, lo ha incastrato”. Si tratta della medesima cella di Mapello che il telefono dell’imputato agganciò anche il 26 novembre 2010, giorno della scomparsa di Yara Gambirasio ed alla quale si agganciò anche il cellulare della ragazzina, ma nella direzione opposta a quella di Bossetti. “Questo per noi può indicare che Bossetti era nel tragitto per ritornare a casa, in casa o nelle vicinanze, e non a seviziare la piccola Yara”, ha aggiunto il consulente, evidenziando la condanna ingiusta e anticipando quello che potrebbe essere oggetto di dibattito nel processo d’Appello.



La condanna all’ergastolo di Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, emessa in primo grado lo scorso primo luglio, proprio non convince la sua difesa, consulenti compresi. A dire la sua nel corso di una recente intervista per Libero Quotidiano è stato anche Luigi Nicotera, tecnico informatico forense e nel team difensivo di Bossetti. Nel caso di Yara Gambirasio si è occupato dell’analisi dei tabulati e della copertura delle celle telefoniche. “Sa perché Bossetti è stato condannato, secondo me? Troppi elementi scientifici, di livello elevato, spiegati male e mal compresi”, ha dichiarato, dando così la sua idea di quanto accaduto in aula e che avrebbe penalizzato non poco il solo imputato per il delitto della ragazzina di Brembate. A detta dell’esperto, il processo è ruotato quasi interamente attorno al Dna, eppure i genetisti in aula avrebbero utilizzato un linguaggio decisamente complesso e molto diverso da quello che siamo stati abituati a leggere sulle pagine dei quotidiani. “Se questi argomenti complessi non vengono correttamente compresi dalla Corte e dalla Giuria, questo può creare incomprensione ai non addetti; ecco cosa ha penalizzato Bossetti”, ha aggiunto. Secondo Nicotera sarebbero serviti periti ‘super partes’ per tutte le materie trattate, la il giudice non avrebbe ritenuto opportuno nominarli.



Negli ultimi giorni si è tornati a parlare nuovamente di Massimo Bossetti, presunto assassino di Yara Gambirasio, condannato all’ergastolo lo scorso primo luglio, al termine del processo di primo grado. Dopo le dichiarazioni shock della madre dell’imputato, il quale attende fiducioso l’inizio del nuovo processo questa volta davanti alla Corte d’Appello di Brescia, a prendere la parola è stato uno dei suoi avvocati. Claudio Salvagni, che insieme al collega Paolo Camporini compongono la difesa del presunto assassino di Yara Gambirasio, ha recentemente rilasciato una interessante intervista al sito BergamoPost.it, ripercorrendo l’intera vicenda che ha diviso in due l’opinione pubblica italiana. L’avvocato Salvagni ha ancora una volta ribadito la sua totale convinzione nell’innocenza di Massimo Bossetti. A renderlo così certo della estraneità del suo imputato rispetto ai fatti che gli vengono contestati e che lo hanno condannato all’ergastolo sarebbero tutta una serie di elementi. A sua detta, partendo dal presupposto che non esiste il delitto perfetto, ci sarebbero diversi elementi che, messi insieme, portano sempre all’individuazione del responsabile. “Quali sono gli elementi a carico di Massimo Bossetti? Solo ed esclusivamente il Dna, la sua firma dicono. Praticamente ha compiuto il delitto perfetto e poi lo ha firmato. Già questa è una contraddizione”, ha spiegato il legale. Nessuna traccia, nessun contatto né movente, nessuna ricostruzione di quanto accaduto. C’è però il Dna, ovvero l’elemento attorno al quale è ruotato quasi tutto il processo di primo grado e sul quale in aula abbiamo assistito per circa 40 udienze alla continua diatriba tra accusa e difesa. “Ma in questo caso siamo così sicuri che quello sia il Dna di Massimo?”, si è domandato Salvagni, che ha denunciato poi l’impossibilità della difesa di partecipare ad un contraddittorio su quel Dna. L’avvocato ha poi rispiegato ancora una volta la tesi che ruota attorno al Dna rinvenuto sugli slip di Yara Gambirasio ed attribuito a Massimo Bossetti sebbene manchi il Dna mitocondriale nella traccia riferibile a Ignoto 1: “Il Dna mitocondriale presente, infatti, oltre quello della vittima è quello di qualcun altro, di cui però non si conosce l’identità”, ha spiegato Salvagni. A sua detta, sebbene l’accusa abbia sempre sostenuto che il mitocondriale non fosse utile per il riconoscimento, sarebbe invece fondamentale: “Il mitocondriale deve combaciare perfettamente con il nucleare, se non combacia c’è un errore”. Claudio Salvagni, dunque, non riesce a spiegarsi come mai il mitocondriale di Yara Gambirasio fu ritrovato non degradato, mentre non è accaduto lo stesso per quello di Ignoto 1: “Hanno trovato un altro Dna mitocondriale, che non si sa di chi sia. Il nodo processuale è tutto qui. Ma non è un cavillo, è una questione tecnico-scientifica di fondamentale importanza”, ha aggiunto. Ed è in questo contesto che si inserisce la questione della mancanza di ripetizione del test del Dna, del quale ce ne sarebbe in quantità da permettere ciò, come emerso anche in aula. “È lo stesso imputato che sta chiedendo di rifare questi esami”, ha spiegato Salvagni, ma nonostante questo la Corte ha respinto tale richiesta ritenendola “superflua”. Massimo Bossetti, dal canto suo, è stato irremovibile, sebbene conoscesse i rischi. “Credo sia il primo processo in Italia dove una richiesta dell’imputato di questo tipo non venga accolta”, ha ancora commentato il legale, che continua così a battersi al fine di riuscire a dimostrare, in Appello, l’innocenza del suo assistito.

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