Alla fine come si fa a non essere dalla parte delle povere palme? Se anche si poteva avere qualche riserva su questa operazione a sfondo mercantile (funzionata tanto bene da trasformarsi in boomerang), ora non si può non provare tenerezza per quegli alberelli ancora minuti e impauriti buttati allo sbaraglio in piazza Duomo a Milano. Se ne stanno rinchiuse e tremebonde nella gabbia del cantiere come se fossero in uno zoo, e c’è da pensare con terrore al giorno in cui quelle griglie verranno rimosse: allora le palmette saranno in balia delle bravate dei buontemponi, a meno che la nota multinazionale del caffè annacquato pronta a sbarcare in Italia non provveda a militarizzare quel lembo di piazza…
Quello a cui abbiamo assistito in questi giorni a Milano ha davvero un che di parossistico. Una guerra civile, decollata sulle note dell’ironia ma ben presto sfociata nelle enunciazioni più deliranti, per via di una ventina di piante messe lì, del tutto fuori contesto, in un bizzarro tentativo di “lasvegasizzare” una delle piazze commercialmente più attrattive d’Italia (calpestata ogni anno da oltre 20 milioni di persone).
Ma arrivati a questo punto, al punto cioè da arrivare al ferro e fuoco, personalmente passo dalla parte delle palme, senza “se” e senza “ma”. In fondo meglio loro, con le loro geometrie ordinate e un po’ smilze, miniature a confronto della mole più larga che alta del Duomo (ricordate Rebora? “Il portentoso Duomo di Milano/ non svetta verso il cielo/ ma ferma questo in terra in armonia/ nel gotico bel di Lombardia”); meglio loro, dicevamo, del boschetto auspicato anni fa dal grande Claudio Abbado e da Renzo Piano. Almeno le palme come sono arrivate, se ne andranno; invece il boschetto chi lo avrebbe toccato più con quei due numi tutelari alle spalle?
E allora viva le palme, che non sono l’avamposto dell’islamizzazione del belpaese come ha paventato qualche minus habens, ma sono una pianta generosa di buoni propositi. “Il giusto fiorirà come una palma”, dice il Salmo. Ancora meglio fa l’autore del Cantico dei cantici: “La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni ai grappoli”. Perché la palma è femmina, e sensuale.
Ma ieri abbiamo scoperto dell’altro: la palma è anche molto milanese. Aveva cercato di spiegarcelo, un po’ maldestramente, l’architetto responsabile di questa bravata, Marco Bay. Lui aveva sostenuto che le palme erano tradizionalmente un po’ un esotico fiore all’occhiello in tanti giardini delle ville lombarde. Sarebbe stato molto più semplice ricordare che nel cuore di Milano, sotto la cripta di San Sepolcro, il cardinal Federico Borromeo nel 1616 aveva fatto mettere una grande palma in rame e bronzo, realizzata da Gian Andrea Biffi e Gerolamo Olivieri.
Perché proprio lì? Perché quello secondo Leonardo da Vinci è da considerarsi il punto zero di Milano. Così infatti lo indicò in una mappa del Codice Atlantico come “il vero mezzo” della città, dove nella città romana s’incrociavano cardo e decumano. Lì era stato costruito, in copia fedele, il Sacro Sepolcro. E lì, nell’ombelico di Milano, il cardinal Federico aveva poi fatto mettere la palma, simbolo di “sapienza e rigenerazione”. A questo punto chi ha ancora da ridire?