Al San Camillo, una delle più grandi aziende della Capitale, saranno assunti a tempo indeterminato, con un concorso riservato in via esclusiva, due ginecologi non obiettori con un bando ad hoc. 

E’ il modo concreto con cui l’azienda capitolina risponde al fenomeno dell’obiezione di coscienza, vincolando strettamente il contratto di assunzione dei due medici. Infatti se ricorressero all’obiezione di coscienza nei primi sei mesi di prova potrebbero rischiare il licenziamento e, passato questo periodo, il loro rifiuto a praticare aborti potrebbe portare alla loro mobilità o alla loro messa in esubero. Per il direttore generale dell’Azienda San Camillo, Fabrizio D’Alba, è tutto normale: le assunzioni sono a tempo indeterminato proprio per dare solidità e continuità al lavoro dell’unità operativa dedicata alle Ivg e quindi, a suo avviso, tutelare con più sicurezza i bisogni delle donne. Con una precisazione in più: si tratta di una pratica concorsuale innovativa, perché finalizzata ab origine alla non obiezione.



Secondo il presidente della Regione Lazio, che ha rivendicato l’orgoglio di essere i primi in Italia, quella attuata al San Camillo è una semplice sperimentazione. La Regione Lazio, con delibera del 2014, aveva già cercato di imporre a tutti i medici, anche obiettori, l’obbligo di rilasciare le certificazioni necessarie per poter interrompere la gravidanza nelle strutture pubbliche dedicate. Ma tutti i medici obiettori avevano vivacemente protestato ricorrendo al Tar.



Rapida e chiarissima è arrivata l’altro ieri la risposta del ministro Lorenzin: si tratta di una modalità discriminatoria di reclutamento del personale. La legge 194 non consente questo tipo di selezione, mentre prevede per le aziende la possibilità di chiedere alla Regione di poter attingere al personale in servizio presso altre strutture.

Qualche numero può aiutare a capire cosa accade al San Camillo nell’area di ginecologia. Nel 2016 l’Unità operativa autonoma del San Camillo ha effettuato, infatti, circa 2.200 aborti, di cui 1.400 chirurgici e 810 con pillola RU486 somministrata o in regime ordinario o in Day hospital. Le donne che hanno voluto abortire hanno potuto farlo, ma non è questo il punto; ciò che crea problemi all’Azienda è l’elevato numero di ginecologi obiettori, circa l’80,7%. 



Il dibattito di ieri ha ricordato antiche prese di posizioni delle femministe di 40 anni fa; per loro l’aborto rappresentava l’affermazione di un diritto e non una drammatica soluzione a cui la stessa legge 194 cercava di porre un argine. La campagna per l’aborto di quegli anni fu una delle prime prese di posizioni a sostegno del principio di auto-determinazione, a tutela dei diritti individuali delle donne, ma senza tenere in nessun conto i diritti del bambino che non sarebbe mai nato. Molti medici sono diventati obiettori, dopo una esposizione sistematica e prolungata agli aborti fatti di giorno in giorno. E’ una di quelle esperienze che cambia in profondità un medico, forse inizialmente indifferente e consenziente.  

Bastano pochi aborti fatti oltre le prime settimane, sicuramente per ragioni speciali, per rendersi conto che quelli che muoiono hanno tutte le fattezze di bambini in attesa di nascere. E questo veder morire ogni giorno, per mano propria, tanti bambini non può non far pensare in modo del tutto laico e consapevole al valore della vita e del diritto a vivere.

Ma il dibattito di questi giorni si è concentrato soprattutto sulla ambiguità delle modalità concorsuali perché, se costituissero davvero un precedente, aprirebbero la strada ad una serie di abusi gravissimi. Lo stesso Milleproroghe, che abbiamo appena votato, prolunga la possibilità che le assunzioni in sanità siano fatte ricorrendo a modalità extra-concorsuali, aumentando la flessibilità del sistema sanitario nazionale. 

Ma questo, nella logica che ieri ha inaugurato Zingaretti, potrebbe presupporre una modalità di assunzione che invece di puntare sulle qualità che dovrebbero avere i potenziali concorrenti, investe sui criteri ad exludendum. Domani si potrebbero assumere solo persone disposte a spingere le Dat fino ad ottenere la morte del paziente. Si assume solo chi è disposto a staccare la spina, oppure solo chi è disponibile a somministrare una sedazione profonda che aiuti i pazienti ad andarsene il più velocemente e discretamente possibile. Assumiamo medici solo se disponibili ad accogliere il rifiuto delle cure dei pazienti e non impegnati a tutelarne la vita, in una relazione personale che li aiuti a risolvere quei nodi drammatici che rendono troppo difficile affrontare la vita. 

Non c’è dubbio che tutto ciò comporterebbe un risparmio importante per le aziende sanitarie, se si riuscisse ad avere medici compiacenti selezionati con procedure mirate.

In realtà quella proposta da Zingaretti è davvero una strana applicazione della 194 in una città che non fa nulla per prevenire l’aborto, come vorrebbe proprio la 194; una città in cui la povertà e il degrado, la prostituzione minorile, l’incredibile numero di minori non accompagnati che scompaiono ogni giorno richiederebbe ben altre misure di tutela sociale della maternità, come per l’appunto recita il titolo della 194. 

E così non ci si cura di affrontare i problemi alla radice, non ci si chiede perché siano tanti gli obiettori e non si fa neppure l’ipotesi che i due neo-assunti possano col tempo diventare loro stessi obiettori. 

E per concludere non stupisce che contro don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei, si sia scatenata una campagna di rara violenza. La sua posizione chiara e netta a favore dell’obiezione di coscienza sottolineava come la procedura concorsuale scelta snaturasse l’impianto della legge 194, che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo. Il direttore dell’Ufficio per la pastorale della salute nulla aveva detto “contro” la legge, che tutti sappiamo essere diventata una sorta di tabù intoccabile, nonostante anche questa legge come molte altre avrebbero bisogno di un tagliando di aggiornamento. Si era solo limitato ed evidenziarne lo spirito della legge, che mette in primo piano la prevenzione.