Il nome di Ismail Ltaief era salito agli onori della cronaca alcuni anni fa per essere rimasto vittima di violenza, da parte di alcuni secondini nel carcere di Velletri dove era detenuto, dopo aver denunciato i furti ad opera degli agenti. Oggi il 50enne tunisino è detenuto nel carcere di San Vittore con l’accusa di tentato omicidio ma anche per un suo coinvolgimento nello spaccio di stupefacenti nel cosiddetto bosco della droga di Rogoredo. In una lettera al Corriere.it, Ltaief ha voluto raccontare la sua verità, smentendo le accuse a suo carico (“non ho mai spacciato droga in vita mia”) e descrivendo cosa avviene realmente a Rogoredo, dove il consumo di cocaina ed eroina è ormai una vera e propria moda. La sua presenza nel bosco della droga di Rogoredo non era legata alla vendita ma all’acquisto: “è l’unica cosa che affievolisce il dolore alle vertebre provocato dai pestaggi di Velletri”, spiega. Il racconto di quanto accadeva sotto i suoi occhi, mentre era in fila aspettando il suo turno, ha dell’incredibile. Il tunisino ricorda di aver visto sette spacciatori abusare di una ragazzina appena 16enne la quale “piangeva e supplicava di smettere”. Tentò in un’occasione di mettere fine alla violenza ma fu invitato a smetterla, “o avrai lo stesso trattamento”. Ismail Ltaief rincasò ed armato di due armi-giocattolo fece ritorno nel bosco della droga allontanando gli spacciatori e destando la rabbia dei tossici, rimasti senza stupefacenti. Il detenuto ricorda la presenza di tante minorenni consumate dall’eroina e fatte prostituire dagli albanesi, a capo della “cupola” del bosco insieme ai nordafricani, guidati da “un certo Mejuli”. Nella sua lettera, Ismail Ltaief spiega anche perché sarebbe innocente rispetto all’accusa di tentato omicidio avvenuto lo scorso 6 ottobre al parco delle Rose, poco distante dal bosco della droga di Rogoredo. A sua detta, gli spacciatori non gradirono affatto la sua intromissione nelle loro attività malavitose, motivo per il quale decisero di accoltellarlo gravemente. “Mentre mi accoltellano cercano di costringermi a impugnare una pistola, per lasciarci sopra le mie impronte”, ha dichiarato. A portarlo in carcere sarebbe stato “un palo dell’organizzazione”, reo di aver fatto uno sgarro: “La condizione per portarlo fuori è questa: “Ti salviamo la vita soltanto se accusi Ltaief, altrimenti ti tagliamo la testa a te e anche a tua madre””.



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