Vegetali, intrappolati nel loro corpo, incapaci di comunicare e capire, cerebralmente morti. E’ così normalmente che si definiscono i pazienti in “stato vegetativo” (definizione popolare, ma scientificamente si chiama “stato di coscienza non responsiva”). La scienza e casi sempre più numerosi smentiscono queste affermazioni. Il caso di Massimo Tresoldi ad esempio ha fatto il giro del mondo: dopo nove anni di “stato vegetativo” è riemerso alla vita e ha dichiarato che in quel periodo definito di incoscienza lui capiva tutto quello che accadeva attorno a lui e sentiva ogni cosa. Vegetale? Non proprio. Ilsussidiario.net ha parlar con Fabio Sanson, la cui moglie da circa cinque in seguito a un aneurisma si trova in stato di coscienza non responsivo: “Comunica, nel suo modo particolare, ma lo fa, ne ho le prove. Il problema è che si pensa che esista un solo modo di comunicare, di vivere la vita, ma non è così”. Ecco quello che ci ha detto.



Vegetali o coscienti? Sembra che per tutti o quasi le persone come sua moglie non facciano una vita degna di essere vissuta, è così?

Il problema per me è come continuare il rapporto con lei. Grazie alle persone che la assistono e ai tanti amici che ci stanno vicino sto scoprendo che anche in una situazione come questa il nostro rapporto, ovviamente in modo diverso, può continuare.



In che modo? Ci sta dicendo che la vita si può esprimere in modi diversi, non quello che conosciamo tutti?

Faccio un esempio che può sembrare sciocco. Il cervello dei giapponesi è anatomicamente come il nostro però per parlare non usano come noi la parte sinistra del cervello ma quella destra. Allo stesso modo questo tipo di persone usa la parte più interna e profonda del cervello, il  sistema limbico (quello che sottintende allo sviluppo dell’olfatto, della memoria e delle emozioni come l’umore e il senso di autocoscienza, ndr). Come con un giapponese devo imparare a comunicare con lui in modo differente dal mio, così con queste persone dobbiamo imparare a comunicare in modo diverso. 



E loro comunicano?

Anche loro in modo diverso, ma lo fanno esprimendo emozioni, sguardi. Io ho dovuto imparare a usare il linguaggio di mia moglie.

Ci può fare degli esempi concreti?

L’ho vista piangere quattro volte, in circostanze pesantemente significative per lei.

Dunque non dei momenti casuali, magari indotti in modo automatico e incosciente?

In precedenza era ricoverata a Bergamo. Il giorno prima del trasferimento a Monza due infermiere con cui aveva sviluppato un particolare rapporto affettivo, sono venute a salutarla in due momenti diversi, io ero presente a entrambi. Ai loro saluti mia moglie ha pianto. In seguito ci sono state altre due occasioni. Il giorno del nostro anniversario di matrimonio le portai alcune foto e lei pianse, così come una domenica in cui le dissi che stavo andando a messa nella chiesa dove andavamo sempre, anche allora mia moglie ha pianto. 

Pura casualità? Coincidenze?

Potrebbe essere, ma non ha mai pianto quando le dico devo andare al gabinetto oppure devo chiudere la finestra perché fa freddo. C’è poi un altro aspetto.

 

Quale?

Diverse persone che lei non conosceva prima di ammalarsi la vanno a trovare regolarmente, tutte dicono di avvertire da lei una profonda carica affettiva, quella che provo io. Ma essendo il marito pensavo che la mia fosse suggestione, evidentemente non è così.

 

In molti sostengono che queste persone anche se coscienti essendo “intrappolate” nei loro corpi soffrono, vivono una vita non degna.

E’ stato dimostrato scientificamente che non provano sofferenze fisiche.  Dal punto di vista psichico non possiamo saperlo, nel caso di mia moglie e di tante persone ricoverate con lei ho visto solo grande serenità, nessuna angoscia.

 

C’è chi lamenta carenza di assistenza per questi malati, abbandono da parte delle strutture sanitarie.

La regione Lombardia è sicuramente all’avanguardia, grazie a diverse leggi degli scorsi anni. Solo in provincia di Bergamo ci sono numerose strutture di accoglienza, per chi invece vuole tenere il malato a casa sono previsti rimborsi e voucher. 

 

In conclusione ci può dire qualcosa a proposito della richiesta di una legge per l’eutanasia?

Ogni storia è diversa così come ogni persona è diversa. Ma una cosa, da medico quale sono, mi sento di dire: nessuno può imporre al medico di fare una cosa che ha deciso il paziente. Si chiedono diritti per il paziente, trascurando quello di chi cura. Si vuole violare la professionalità e il senso stesso della professione medica, salvare le vite umane per quanto possibile.

(Paolo Vites)