Il testamento, non quello dal notaio, ma quello “spirituale” che Dj Fabo ha lasciato prima di morire con il suicidio assistito in Svizzera all’Associazione Luca Coscioni, nelle mani di Marco Cappato che lo ha accompagnato fino all’ultimo. «Io, Fabiano Antoniani, Dj Fabo, nato a Milano il 9 febbraio 1977, all’età di sette anni, frequento la scuola di musica per imparare a suonare la chitarra. Da bambino spesso suono come primo chitarrista e partecipo a numerosi saggi. Visto il talento, i miei genitori mi costringono a frequentare il Conservatorio di Milano, villa Simonetta, ma a causa del mio comportamento ribelle vengo espulso». Un ribelle questo dj che ha girato il mondo prima di un terribile incidente che lui stesso racconta come il momento in cui la sua vita non solo è cambiata ma è stata rovinata per sempre: «dopo aver suonato una sera in un locale di Milano, tornando a casa, un rovinoso incidente mi spezza i sogni e la mia vita», racconta ricordando il giorno in cui divenne cieco e tetraplegico. La vita da quel momento in poi è come se diminuisse di senso per Fabiano Antoniani: da libero e ribelle ad “incastrato” in un corpo completamente rovinato per il quale non può più considerarsi libero. «Vittima spesso della mia stessa vivacità, facilmente mi annoio, pronto a gettarmi per primo nelle situazioni piu’ disparate. Un trascinatore. Incapace di sopportare il dolore sia fisico che mentale. Preferisco stare solo ora – si legge ancora nel testo autobiografico – che non poter vivere come prima. Vivo oggi a casa di mia madre a Milano con una persona che ci aiuta e la mia fidanzata che passa piu’ tempo possibile con me. Mi portano fuori ma spesso non ne ho voglia. Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione non trovando piu’ il senso della mia vita ora».



Ed è qui che cambia tutto, come racconta Dj Fabo nel suo testamento, un momento in cui cresce la consapevolezza che per lui così la vita non è più degna di essere vissuta: «trovo piu’ dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia. Chiedo semplicemente di poter morire e lo Stato non me lo permette. Da qui il contatto con l’Associazione Luca Coscioni, “una realtà che difende i diritti civili in ogni fase dell’esistenza dei cittadini. Compreso il diritto sacrosanto di morire. Grazie. Fabiano Antoniani». Un passaggio complicato, misterioso e talmente personale che è difficile poter commentare con la “leggerezza” del già saputo o peggio di uno scontro tra principi: qui in ballo ci sono libertà, vita, amore e valore sacrale, l’esatto contrario di un “principio” bensì elementi umani imprescindibili per poter realmente poter parlare di persona. «Giovane adulto sempre vivace e vero amante della vita» e infine, «la mia vita ora non ha più senso di essere vissuta»: lì in mezzo è cambiato tanto, forse tutto, lasciando a noi che rimaniamo (si spera) una domanda di senso in più su cosa sia davvero la vita, piuttosto che un “pregiudizio” inutilmente da spendere, sia per chi è contro o a favore dell’eutanasia. La libertà e il senso della vita valgono immensamente di più e come uomini siamo chiamati a riconoscerli in tutti i suoi fattori e la loro paradossale e struggente bellezza. (Niccolò Magnani)

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