La Giornata per la Vita, celebrata ieri dalla Chiesa italiana, ha avuto nell’Angelus domenicale di Papa Francesco un posto del tutto particolare. Il Pontefice ha infatti voluto ribadire con forza, al termine della preghiera, la sacralità della vita umana come risposta efficace “alla logica dello scarto e al calo demografico; stiamo vicini — ha proseguito — e insieme preghiamo per i bambini che sono in pericolo d’interruzione di gravidanza, come pure per le persone che stanno alla fine della vita; ogni vita è sacra, perché nessuno sia lasciato solo e l’amore difenda il senso della vita”.
In questi brevi cenni il Successore di Pietro ha così delineato la vera frontiera su cui si gioca oggi il dibattito riguardo alla vita umana, ossia il desiderio di morte che attraversa la nostra società e che si trasforma in strutture sociali, culturali e politiche. Anzitutto Francesco ha cercato di comprendere questo desiderio, sia che manifesti nel primo istante del concepimento, sia che emerga nell’ultimo istante della decrepita vecchiaia: esso trae infatti origine in un vuoto d’amore. Noi vogliamo morire non quando stiamo male, ma quando ci sembra che la nostra esistenza non potrà più, in alcun modo, essere amata.
È questo vuoto d’amore che ci interpella e che delinea il perimetro per una vera educazione alla vita. Se un bambino, un uomo o una donna, non percepiranno più questo amore gratuito al loro essere, allora ciò che rimarrà sarà solo l’anticamera di ogni disperazione.
Le cronache italiane ci hanno già più volte raccontato la storia di un giovane dj che, gravemente compromesso da un incidente stradale, chiede oggi — attraverso l’associazione “Luca Coscioni” — di poter morire. Come ai tempi di Gesù, rispondere “sì” o “no” a questa interpellanza sarebbe troppo riduttivo perché il metodo di Dio è un altro, è quello di venire, di entrare nella nostra vita col Suo amore, anche quando potrebbe soltanto aiutarci. Vengono in mente i genitori di quei quattro ragazzi rimasti uccisi l’altra notte in autostrada, sempre a seguito di un incidente, o coloro che ancora piangono i tanti morti di Rigopiano, del sisma o del terrorismo. Tutta questa gente sa benissimo che la vita è preziosa, sacra, perché l’ha scoperto nel momento in cui ai loro cari è stata sottratta. Come le centinaia di donne che nel nostro paese ricorrono all’interruzione di gravidanza e che poi, per mesi o anni, piangono della loro decisione.
Ecco: il Papa desidera che ci sia un amore presente nella vita di queste persone, nella nostra vita, che possa restituirci il senso dell’essere al mondo anche quando non siamo più efficienti, produttivi, con un’adeguata qualità della vita. Quando siamo “scarto” è allora che emerge il nostro vero valore, ma questo valore può emergere solo se siamo amati.
Combattere per la vita, oggi, va al di là delle legittime battaglie giuridiche, sociali o politiche, per diventare “programma” di un’azione educativa che abbia al centro la preoccupazione di dire ad ogni uomo che “qualunque cosa accada tu non sei colpevole di esistere”, che “la vita non ti tradisce, nemmeno nell’ora del dolore, del male o della violenza”.
C’è un campo del tutto nuovo, creativo, che si spalanca dinnanzi agli uomini e alle donne di buona volontà del nostro paese, un campo dove la sacralità della vita non si sancisce, bensì si scopre e si impara nello sguardo di un Altro, nel Bene di un Altro. Detta così sembra “tutto più difficile”, ma la rivoluzione cui ambisce il cristiano non è mai quella del potere, ma quella del cuore, quella della tenerezza. Che ciascuno di noi possa riscoprire il valore della propria vita — qualunque sia la circostanza che sta attraversando — per poter imparare a testimoniare con gli occhi, con le parole e con i gesti la gioia di essere amati. Per sempre.