Nei giorni dominati dal caso di Dj Fabo, tra suicidio assistito, eutanasia e questioni legati al fine-vita, fanno discutere alcune dichiarazioni del matematico e professore sedicente agnostico, Piergiorgio Odifreddi. In una intervista che andrà in onda domenica 5 marzo alle 13 su Rai 3 a Il posto giusto” (di e con Federico Ruffo), Odifreddi commenta il caso di Fabiano Antoniani e dei tanti altri che in Italia ogni anno soffrono per malattie a volte incurabili e tremende, ma non solo: anche un semplice avvicinarsi alla morte viene visto da Odifreddi come giustificabile per la “proposta” messa in campo. «Morire non è divertente, la morte in sé non è nulla, ma arrivarci… però anche in Italia si comincia a pensare di andarsene quando uno decide di andarsene». Secondo le anticipazioni rilasciate oggi dai colleghi de Il Fatto, veniamo a scoprire come Odifreddi non solo non sia contrario al suicidio assistito, ma andrebbe ben oltre: «Io parlavo con Augias, lui ha il kit che servirà o gli dovrà servire nel momento in cui penserà di doversene andare silenziosamente. Questo mi sembra che sia un buon modo. Nel momento in cui si vede che i prossimi mesi o anni saranno solo sofferenza in attesa di un’uscita triste, perché non andarsene come si vuole?». Un kit, una vita legata ad un kit, e il difficile ma umanissimo mistero all’interno di cosa sia o non sia vita, viene “spazzato” via dall’emotività del momento per cui, “quando si vuole” si può lasciare questo mondo. E voi, cosa ne pensate?
– Con le parole di Odifreddi sull’eutanasia e il suicidio assistito, è stata risvegliata un passata promessa choc fatta dal noto giornalista e scrittore Corrado Augias addirittura nel 2006: scrivendo una lettera al direttore di Repubblica Augias confessò l’acquisto di un kit dall’Olanda per il suicidio. «Sto per acquistare il kit della “buona morte” in vendita a Bruxelles e credo anche in Olanda. Il prezzo è contenuto, meno di cento euro, possono comprarlo i medici sotto la loro responsabilità per un uso professionale deontologicamente appropriato. Recenti esperienze che non esito a definire tragiche di persone a me vicine mi hanno messo a contatto diretto con l’infamia di una morte troppo a lungo rimandata. In quel povero corpo straziato nulla era più rimasto di umano, se per umanità intendiamo il controllo di sé, la consapevolezza del proprio essere, la possibilità di comunicare con i nostri simili, quell’attività cerebrale, anche minima, che sola ci distingue dagli altri esseri viventi». Augias scriveva anni fa, e lo ha ribadito inquirenti questi giorni di discussioni sul caso Dj Fabo, «vorrei essere sicuro di poter morire con dignità. C’è nel suicidio consapevole responsabilmente esercitato (perché anche il suicidio può diventare una futilità) una traccia della virtù romana antica. Il desiderio di restare padroni di sé, di congedarsi dalla vita senza doversi vergognare». Resta il problema, l’abisso dentro al quale si muove la parola dignità, un problema apertissimo e non certo risolvibile con le sole parole di Odifreddi, Augias o di qualsiasi “pro-life”: resta da capire, su cosa si intenda “dignità”, se della vita all’ennesima potenza, in qualsiasi condizioni si trovi, o se esista nella decisione (e spesso illusione) di poterla “controllare”… (Niccolò Magnani)