La notizia di un cavalcavia crollato ieri sull’autostrada A14 nelle Marche, tra Loreto e Ancona Sud, conferma la sensazione, ormai molto diffusa, di abitare in un paese che si sta sbriciolando. Non solo per le tragiche conseguenze del crollo, il cui bilancio è di due morti e tre feriti; ma anche e soprattutto per l’assoluta casualità di quanto è accaduto. Io stesso sono transitato in quel tratto di autostrada, comunemente conosciuta come “Adriatica”, due giorni prima, e nella stessa giornata del crollo altre persone, che si ritengono ora “miracolate”, hanno evitato per un soffio di finire come i poveri coniugi Emidio Diomede di 60 anni, e la moglie Antonella Viviani, di 54, che si sono schiantati con la loro auto contro un ponte improvvisamente crollato sulla loro corsia. 



Autostrade per l’Italia spiega che il ponte crollato sull’A14 era una struttura provvisoria posizionata a sostegno del cavalcavia per cui il ponte si è spezzato ai lati, schiantandosi a terra proprio mentre transitava la Nissan con i due coniugi rimasti uccisi. Pare che fosse appena stata compiuta un’opera di sollevamento del cavalcavia, chiuso al traffico. Non lo era però l’autostrada sottostante e qui sta forse l’errore, come ha affermato il sindaco di Castelfidardo, in provincia di Ancona, Roberto Ascani che poi ha aggiunto: “È inconcepibile eseguire lavori di questa natura senza chiudere l’A14”. Invece è stato concepito. 



Se si pensa che questa tragedia fa il paio con l’analogo crollo di un cavalcavia in Brianza nell’ottobre scorso, altro episodio che ha provocato la morte di una persona, viene da chiedersi: cosa sta succedendo? Cavalcavia che crollano sulla gente, strade statali ridotte a percorsi ad ostacoli piene di buchi e ornate di immondizia abbandonata che nessuno toglierà (fate un test: riuscite in Italia a percorrere più di cento metri di una strada qualsiasi senza vedere neppure un rifiuto ai suoi bordi?), edifici incompiuti e fatiscenti, cemento e asfalto che si sgretolano, parchi abbandonati… È come se l’ente pubblico, a qualsiasi livello, non ce la facesse più a tenere in sicurezza e nel decoro le opere che ha costruito negli ultimi decenni, spesso con scialo di materiale scadente e spreco di denaro pubblico.



Il motivo lo sappiamo: non ci sono più soldi. È accaduto e accade lo stesso in numerosi paesi: un amico di ritorno dall’Argentina, dove ricordiamo che lo Stato qualche anno fa dichiarò fallimento, ha raccontato di edifici vecchi e pericolanti dove pure le persone abitano, reti elettriche decadenti e pericolose, tubi, ruggine, cemento in briciole, ovunque un senso di degrado e vecchiume. 

Un’impressione che avanza anche da noi. Vero è che le colate di cemento degli ultimi anni stanno diminuendo: per chi costruire ormai, in un paese dove i nati sono molto meno di chi ci lascia? Si potrebbe mettere in sicurezza, dati anche gli incessanti terremoti, ciò che c’è, ma con quali fondi? Lo Stato non è più in grado e anche continuare a razzolare, a suon di tasse, nelle tasche dei cittadini diventa sempre più difficile, nonostante la tentazione rimanga nei recenti e presenti governi. Noi cittadini, poi, non abbiamo ancora interiorizzato, come si dice a scuola, un concetto in realtà semplicissimo: i servizi costano, ciò che viene costruito poi va mantenuto, e a che prezzo! Faccio un esempio che conosco bene: nella mia città, congestionata come tutte dal traffico, l’amministrazione comunale ha pensato di costruire una tangenziale sottoterra, detta secante: un tunnel di quasi due chilometri che passa sotto la città, decongestionando il traffico e togliendolo pure dalla vista. Bellissima idea, bellissimo progetto, costato naturalmente un codazzo di spese impreviste e di anni perduti. Nessuno però ha tenuto conto di ciò che tutti sapevano: per mantenere questa secante, ad esempio per togliere i velenosi gas di scarico che si accumulano nel tunnel e altro, si spendono milioni di euro all’anno. Questo va moltiplicato per ogni opera pubblica, strada, scuola, ospedale, museo, che la collettività costruisce. E sono opere che raramente producono reddito, ma che tutti continuiamo a chiedere, come se non costasse nulla costruirle e soprattutto mantenerle. Lo Stato da noi è sempre di qualcun altro. 

Gli incidenti recenti e gravi, come quello sull’autostrada A14, dicono una cosa precisa: non ce la facciamo più a pagare, a tenere in sicurezza, a conservare. Possiamo lamentarci quanto ci pare di Pompei che crolla, di Venezia che si allaga, dei paesi rasi al suolo dal terremoto, delle strutture edilizie e viarie che sono obsolete. Il problema si riduce ad un’unica domanda: chi paga tutto questo?