Nella conferenza stampa successiva alla nuova pubblicazione di Wikileaks con migliaia di dati legati alla Cia che dimostrano modalità e documenti dell’intelligence Usa nello spiare le maggiori cancellerie mondiali, ma anche cittadini semplici, aziende e partner commerciali, Julian Assange ha lanciato l’ennesima “bomba”. Il fondatore di Wikileaks, in esilio forzato all’ambasciata dell’Ecuador a Londra, ha rilanciato immediatamente: «abbiamo molte altre informazioni rispetto a quelle già diffuse sulle attività di hacking della Cia. Voglio annunciare che dopo aver valutato quale sia per noi la miglior via di procedere e ascoltando le richieste di alcuni produttori, abbiamo deciso di lavorare con loro per dare loro accesso esclusivo ai dettagli tecnici in nostro possesso in modo che possano sviluppare e realizzare soluzioni per le falle, così che le persone possano essere sicure». Apriti cielo, lo scandalo continua: specie quando annuncia lo stesso Assange che è pronto a «passare i dati degli archivi Sia alle aziende della Silicon Valley: Apple, Google, Microsoft più i sudcoreani della Samsung. Abbiamo molte più informazioni di quelle già trapelate e daremo tutti questi dettagli tecnici alle aziende». Ma a che gioco sta giocando? E soprattutto, dove vuole arrivare con questi nuovi dati consegnati e “regalati” alla Silicon Valley?
Con le nuove dichiarazioni di Julian Assange, la Cia e l’amministrazione americana tremano per quanto ancora potrebbe essere inserito in quei documenti recuperati e hackerati grazie ai lavori di Manning e Snowden. L’Fbi sta cercando la «talpa» tra gli organici della Cia: solo considerando i dipendenti dell’ agenzia, almeno duecento persone avrebbero avuto accesso ai codici segreti. Ma, e questo è il particolare inquietante, la platea dei «sospettabili» potrebbe allargarsi fino a comprendere un migliaio di collaboratori esterni, i cosiddetti contractor, riporta un’inchiesta del Corriere della Sera oggi in edicola. Dal quartier generale della Cia, a Langley in Virginia, arriva una difesa di circostanza: «Assange non è proprio un modello di verità e di integrità. Nonostante i suoi sforzi, la Cia continua il suo lavoro di raccolta di informazioni all’ estero per proteggere gli americani dal terrorismo, dalle nazioni ostili e da altri avversari». Resta da capire cosa vuole Assange e soprattutto con questi nuovi dati presunti che andrebbero nelle mani della Silicon Valley, cosa realmente ci sta sul tavolo delle trattative; un modo per mettere in difficoltà il neopresidente Donald Trump, di certo non visto benissimo da Apple, Google e Co? Il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha commentato poco dopo la conferenza di Assange su Wikileaks: «Il presidente Trump è molto turbato per quello che è accaduto. Chiunque dovrebbe sentirsi oltraggiato. Un conto è diffondere il contenuto di mail di personaggi politici, un altro è la sottrazione di procedure codificate. Comunque è chiaro che i sistemi della Cia sono datati e vanno aggiornati». Spicer ha poi avvisato le aziende: «se dovessero ricevere e utilizzare materiale classificato rubato da WikiLeaks è chiaro che ci sarebbero delle conseguenze penali, poiché sarebbe in gioco la sicurezza nazionale». Ricordiamo che proprio questa scoperta fatta nei giorni scorso sulle modalità di spionaggio della Cia si è riaperto il grave problema tra l’autorità Usa e i big dell’hi-tech sul settore sicurezza e privacy. «Secondo le ricostruzioni finora disponibili la Cia ha identificato e utilizzato 14 varchi nella protezione del sistema operativo di Apple e 24 in quello di Google. Per non parlare dei televisori Samsung di ultima generazione, usati come gigantesche e indiscrete orecchie dallo spionaggio americano. Apple fa sapere che «numerose» falle sono state chiuse nella nuova versione del sistema iOS che fa girare iPhone e iPad», riporta l’inchiesta del Corriere. (Niccolò Magnani)