La verità di Francesco Schettino, ancora in pieno processo per il naufragio di Costa Concordia del 13 gennaio 2012, arriva con un video diffuso per spiegare i punti saldi della sua difesa, svelando la sua verità su quella terribile notte. Dopo i primi due gradi di giudizio svoltisi e con la stessa condanna, 16 anni di carcere, si attende ora il giudizio penale in Cassazione; in attesa, il capitano della Costa Concordia Schettino ha parlato così in un video diffuso sul web. «Sono saltato sull’ultima scialuppa poco prima che la nave si abbattesse e la trascinasse sul fondo insieme a tutte le persone che erano a bordo»; 17 minuti di video, l’ex comandante intitola così il suo memoriale «L’onore del marinaio» in cui intende far presente pubblicamente la sua versione del tutto diversa dall’accusa e condanna ricevuta. «Ero accorso sul lato destro della nave, quello più a rischio, per coordinare lo sbarco dei passeggeri. Quando ho capito che la nave stava per rovesciarsi sull’ultima scialuppa e trascinarla a fondo con tutti i suoi occupanti, solo allora sono saltato proprio sulla scialuppa per salvare la vita di coloro che erano a bordo». Schettino racconta di essere rimasto dunque fino all’ultimo sul luogo del naufragio e disastro navale, «Nel tragitto tra la nave e la scogliera – continua l’ex comandante – ho raccolto altre persone dall’acqua, dopodiché sono rimasto sulla scogliera a coordinare i soccorsi». Schettino pare che non andò via nemmeno dopo aver suggerito di spostare i soccorsi sul lato destro: «sempre dalla scogliera mi misi in contatto con l’unità di crisi della Costa Crociere, come testimoniato da una telefonata intercorsa tra gli stessi vertici della compagnia di navigazione e quelli della Capitaneria di porto».



Un lunghissimo memoriale pubblico, base della sua difesa al processo di Cassazione che nei prossimi mesi tenterà di annullare i due precedenti organi di giudizio. Il capitano Schettino racconta nel suo video anche il particolare rapporto con il Capitano di fregata della Capitaneria di Porto, Gregorio De Falco – famoso in quella telefonata in cui intima Schettino a risalire sulla nave e fare il suo dovere – con la difesa che si discosta da quanto raccontato finora; «Quando all’1.46 mi chiese di risalire a bordo – spiega il marittimo metese – De Falco ignorava tutte le informazioni ricevute da me, dal comando generale delle Capitanerie di Roma e dalla motovedetta coordinatrice dei soccorsi sul campo. Non sapeva che la nave si era abbattuta sul fondo e, soprattutto, che la biscaggina da lui indicata era ormai sott’acqua. al marittimo metese era stato imposto di rimanere sulla scogliera e di conservare la batteria del cellulare per tenersi in contatto con i soccorritori: a impartire quest’ordine, direttamente dal comando generale delle Capitanerie di porto di Roma, era stato Leopoldo Manna, superiore di De Falco». Sullo sfondo rimangono le 32 persone morte e quel disastro che fece il giro del mondo: la verità processuale si spera riesca a far luce su responsabilità e complessità dell’intero naufragio terribile e drammatico della nave Costa Concordia.

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