È balzata agli onore delle cronache internazionali per aver rinunciato all’aborto, nonostante la bimba che porta in grembo sta crescendo nel suo utero senza cervello. «Se porto a termine la gravidanza, possiamo donare i suoi organi?» ha chiesto la donna al medico dopo aver saputo che la bimba è affetta da anencefalia, un’anomalia per la quale il cervello non si sviluppa, quindi il cranio è vuoto. La piccola Eva potrà nascere morta o riuscire a vivere pochi giorni: i ginecologi in questi casi consigliano l’aborto terapeutico, ma la madre di Eva ha deciso di portare a termine la gestazione per far sì che gli organi della piccola salvino altri bambini sfortunati: «Nascera`, donera` tutto cio` che potra`, e nel suo breve soggiorno terreno fara` piu` di quello che io avrei mai immaginato per lei» ha raccontato Keri. Quando si sono recati al Lifeshare, un’organizzazione che si occupa di donazione di organi, la giovane madre e suo marito Royce hanno appreso che Eva può donare cuore, reni, fegato e pancreas, mentre i polmoni saranno destinati alla ricerca scientifica.
In queste ore, dunque, si è aperto il dibattito sulla scelta di Keri: è un gesto generoso quello di portare a termine la gravidanza? Si è generosi quando si accetta di veder morire il proprio neonato per salvare altre vite umane? Anche per il medico Melania Rizzoli, vicepresidente dell’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma), è difficile dare una risposta a questo interrogativo: sulle colonne di Libero ha spiegato di aver sempre ammirato da medico quei genitori che consentono l’espianto degli organi dei propri figli quando viene detto loro che sono morti cerebralmente, ma d’altro canto troverebbe aberrante se un medico le chiedesse di partorire un figlio con una grave patologia per essere utilizzato per estrarre i suoi organi.
«Se io fossi la mamma di un figlio in attesa di trapianto avrei una grave crisi di coscienza nell’attendere lo sviluppo e la nascita di un bambino finalizzato a morire per far vivere il mio» ha scritto Melania Rizzoli, secondo cui non è una questione di generosità, bensì di dignità della vita e del corpo della madre e del bambino «fatto nascere con l’intento del suo sacrificio per espiantare i suoi pezzi di ricambio». Il dibattito tiene banco anche nel Regno Unito, dove la potente British Transplantation Society da due anni chiede alle donne incinte di feti malformati di portare a termine le gravidanze per destinare gli organi sani del neonato al trapianto.