La notizia di ieri, dopo le ultime polemiche dettate dal suicidio assistito di Dj Fabo in Svizzera, arriva dalla conferenza dei capigruppo alla Camera: l discusso disegno di legge sul «fine vita» andrà all’esame dell’aula alla Camera a partire da lunedì 13 marzo. Un nuovo rinvio, secondo i radicali e l’associazione Luca Coscioni, ma al momento si tratta di una data calendarizzata che proverà ad iniziare il lungo iter parlamentare della legge tra le più discusse e rischiose, anche per la possibile onda emotiva della tragica fine di Fabiano Antoniani. Avvenire questa mattina segnala i punti ancora di massima distanza tra le parti in Parlamento: «il disegno di legge infatti contempla ancora la possibilità per il malato di disporre la sospensione della nutrizione assistita (considerata dagli uni una terapia e dagli altri semplice sostegno vitale) anche se ciò comporta la propria morte; vincolo per i medici sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, documento con le volontà di fine vita cui i professionisti della sanità dovrebbero attenersi senza alcun margine di azione né possibilità di fare obiezione di coscienza». Le Dat come il suicidio assistito rischiano di far pervenire una legge sul fine vita ad una quasi esplicita sull’Eutanasia. Sarà la mediazione di tante associazioni a favore e contro a questi provvedimenti a far da contraltare alle discussioni in Aula, con la speranza che nessuna onda emotiva, in un verso o nell’altro, possa condizionare una legge che assume un’importanza capitale per lo sviluppo etico e sociale dei prossimo anni.
La storia di Dj Fabo vissuta da chi chi è passato e chi ci sta ancora passando: una sofferenza per una vita di colpo cambiata e interrotta, oppure una vita sempre vissuta in maniera “diversa” dalla gente normale. Sono i disabili, gravi, terminali, paraplegici, coma vegetativo o riabilitazione lentissima con pochi miglioramenti in tempi lunghissimi. Sono i disabili gravissimi, sono migliaia in Italia e dal caso di Dj Fabo e del suicidio assistito praticato in Svizzera il commento è molto rispettoso quanto volenteroso di voler testimoniare per alcuni di loro tutta un’altra situazione e condizione di speranza. Francesco Napolitano, presidente dell’associazione Risveglio di Roma, che in Casa Iride ospita sette persone in stato vegetativo o di minima coscienza, mentre nel Centro Adelphi ne assiste in attività diurne 25 al giorno che sono uscite dagli stadi più gravi, hanno recuperato relazioni con l’ambiente, ma necessitano di essere assistite in una lunga e faticosa riabilitazione. «Invito a venire a vedere i nostri ospiti: mai in vent’anni abbiamo ricevuto richieste di farla finita o rimpianto per essere stati assistiti in chi ha superato lo stato vegetativo: prevale in tutti una vitalità prorompente», racconta ai colleghi dell’Avvenire. La condivisione – osserva ancora Napolitano – con un tipo di vita che certamente vorremmo più ordinaria, ci restituisce valori ed esperienze assolutamente uniche. Che ci fanno capire che l’ordinarietà della vita è qualcosa che ci costruiamo a tavolino». Un punto però è cruciale: il rispetto della dignità della vita di queste persone. «Non è un caso che quando ci fu la vicenda di Eluana Englaro le nostre famiglie abbiano manifestato davanti a Montecitorio per salvare la ragazza, perché si sentivano defraudate del criterio della dignità della vita. La domanda era: stiamo assistendo invano i nostri cari? Siamo pazzi a prenderci cura in modo totalizzante i nostri parenti? Dalla nostra esperienza possiamo dire di vedere certo la sofferenza, ma anche l’accettazione di situazioni che sappiamo essere più grandi di noi, ma che non tolgono il fatto che la vita viene prima di ogni altra cosa». Chiedono semplicemente più rispetto, un aiuto concreto sulle cure che spesso purtroppo sono assai costose e un rilancio continuo a noi “normali” su cosa sia dignità e quale valore possa avere la vita. Non una risposta pre-confezionata, ma una domanda profonda sull’essere umano a tutto tondo.
Dopo il caso Dj Fabo i tanti altri casi di eutanasia, suicidio assistito e difficilissime se non impossibili condizioni di vita di tanti pazienti in Italia sono ovviamente di nuovo sotto la luce del sole, a otto anni dal caso Eluana Englaro. Molte sono anche le opere di carità, i centri di assistenza e di accoglienza di persone malate o famiglie di pazienti in stati vegetativi che hanno voluto raccontare la loro esperienza in merito ad una condizione diversa dalla scelta di eutanasia. In una nota apparsa questa mattina, l’Opera Don Orione che da anni assiste migliaia di casi limite in Italia e nel mondo, ha voluto esprimere da un lato profonda vicinanza a Dj Fabo e alla sua famiglia e dall’altro ribadire senza particolari discorsi o prediche quanto viene vissuto e proposto nei centri di aiuto alla vita curati dall’opera Don Orione. «Quello del fine vita e dell’eutanasia è un tema delicato, che non può essere affrontato sull’onda emotiva di un singolo caso, ma ragionando bene sulle tante implicazioni che questo argomento comporta. La nostra congregazione ha a cuore quelle tante persone costrette a vivere in uno stato vegetativo o con malattie terminali. Nel nostro Centro Don Orione di Bergamo, ad esempio, abbiamo un reparto che ospita 24 pazienti che hanno subito gravi danni cerebrali, aiutando loro e soprattutto le loro famiglie a convivere con questa difficile situazione. Questa attività, unita a tante altre che portiamo avanti in tutto il mondo, ci ha permesso di capire ancora più a fondo il valore della vita, quanto sia preziosa e come abbia dignità in ogni sua forma e ci spinge a continuare il nostro lavoro accanto a chi ogni giorno soffre per le proprie condizioni fisiche». (Niccolò Magnani)