Nel corso della passata puntata di Quarto Grado dedicata al delitto di Marco Vannini, il barelliere del 118 ha rivelato l’intenzione dell’infermiera Ilaria Bianchi di querelare i periti della difesa dei Ciontoli, rispetto alle loro parole rese nel corso dell’ultima udienza. La donna sarebbe l’operatrice che insieme al barelliere soccorsero la vittima 20enne la sera del 17 maggio 2015. In aula, i periti Sacchetti e Ruggero ritennero “inescusabile” il fatto che l’infermiera non riconobbe immediatamente la natura della ferita riportata da Marco Vannini nonostante la versione errata fornita dai Ciontoli. Nel suo racconto, come rivela il sito TerzoBinario.it, Cristian Calisti avrebbe sottolineato come per l’operatrice del 118 la situazione apparve subito confusa in quanto non riuscì a trovare immediatamente riscontro tra l’ipotesi di attacchi di panico e lo stato di agitazione di Marco Vannini, il quale non era in grado di rivelare chiaramente il suo malore. Per tale ragione i due addetti del 118 optarono per il trasporto del giovane nel presidio medico più vicino al fine di sottoporlo all’attenzione di un medico. I due operatori avrebbero ampiamente contestato le parole emerse in aula e che andrebbero non solo a screditare il loro operato ma anche a riempire di responsabilità i due soccorritori in merito ai contestati ritardi nei soccorsi.
Nell’ambito della vicenda sul delitto di Marco Vannini, ci si è spesso domandati quale fosse il coinvolgimento degli altri membri della famiglia Ciontoli, a parte il capofamiglia Antonio, colui che, a sua detta, avrebbe esploso il colpo di pistola rivelatosi fatale. La domanda è stata posta anche all’avvocato Celestino Gnazi, legale della famiglia della vittima, dal portale UrbanPost. Il difensore dei Vannini ha preso in esame l’ambiente di circa 40-50 metri nel quale si sarebbe consumato l’omicidio di Marco Vannini. Non si esclude dunque, che alla luce dell’ambiente ristretto in cui si è consumata la tragedia, “tutti accorrono subito, tutti subito capiscono che cosa è successo”. “Non è possibile che non lo sapessero secondo me”, ha aggiunto l’avvocato Gnazi. Questo sarebbe emerso anche da alcune intercettazioni nelle quali Martina Ciontoli, l’allora fidanzata del ragazzo ucciso, riconosce di aver visto quanto accaduto, seppur abbia poi smentito davanti al pm. “Quando Martina è stata interrogata come imputata dal pubblico ministero ha detto “No io non ho visto niente, non so niente’, ma il pm le dice ‘Ma cosa sta dicendo?’ e allora lì Martina dice una cosa palesemente inverosimile: ‘Non ho detto quello che ho visto, ho detto quello che mi è stato riferito”, ha spiegato Gnazi. A riferire alla ragazza quanto accaduto, secondo la stessa Ciontoli, sarebbe stato il maresciallo Izzo, eppure quest’ultimo in aula avrebbe smentito categoricamente.
Sono tanti i quesiti che sorgono in merito al caso di Marco Vannini e che, a distanza di quasi due anni dal terribile delitto, restano ancora senza una risposta. Tra questi, le domande su quanto accaduto prima che partisse lo sparo esploso dalla pistola di Antonio Ciontoli e che colpì mortalmente il bagnino 20enne di Cerveteri. C’era stata una lite prima del delitto? Ci sarebbero prove in grado di sostenere tale ipotesi? A rispondere a queste domande è stato di recente l’avvocato Gnazi, difensore della famiglia della vittima, intervenuto sul sito UrbanPost. Il legale ha asserito che sì, è possibile che ci sia stata una lite che abbia preceduto lo sparo, però non ci sarebbero prove in grado di sostenere ciò. “C’è qualche spunto, qualcosa che lo rende logico anche per il fatto che questo signore abbia sparato sapendo che l’arma era carica … è difficile pensare ad uno scherzo”, ha commentato Gnazi. A sua detta, è possibile soprattutto che Ciontoli avesse cercato di spaventare seriamente Marco Vannini prima che questo tentativo si tramutasse in tragedia. Da non sottovalutare, poi, la testimonianza dei vicini di casa dei Ciontoli, che hanno asserito di aver udito Martina, l’allora fidanzata del ragazzo, chiamare il padre poco prima dello sparo: “Lo vedi papà! Lo vedi papà!”. Quasi a voler richiamare l’attenzione dell’uomo al fine di farlo intervenire in una situazione litigiosa. Anche questo aspetto si cercherà di chiarire meglio nel corso del processo attualmente in corso e che riprenderà il prossimo 12 aprile.
Anche per i periti della Procura, Marco Vannini si sarebbe potuto salvare: è questa la sintesi dell’ultima udienza del processo sulla morte del 20enne di Cerveteri, ucciso con un colpo di pistola la sera del 17 maggio 2015. Il giovane bagnino si trovava in casa della fidanzata, Martina Ciontoli. Cosa avvenne esattamente nella villetta di Ladispoli è ancora un mistero. Per tale ragione, a processo per l’omicidio volontario di Marco è finita l’intera famiglia Ciontoli, a partire da Antonio, padre di Martina e colui che ammise di aver esploso “per scherzo” il colpo di arma da fuoco ferendo mortalmente il ragazzo. A sedere al banco degli imputati anche Viola Giorgini, fidanzata del fratello di Martina, che dovrà rispondere di omissione di soccorso. L’avvocato della famiglia di Marco Vannini, Celestino Gnazi, ha risposto di recente alle domande del sito UrbanPost.it, ribadendo la non necessità di una ulteriore perizia anche alla luce di quanto emerso nel corso dell’udienza. In quella occasione, infatti, alla domanda se Marco poteva essere salvato in caso di soccorsi tempestivi la risposta è stata netta e positiva. Possibilità che non sarebbe stata scartata del tutto neppure dai consulenti della difesa: “Si poteva escludere che Marco potesse essere salvato? Neppure loro hanno risposto ‘no’. Non lo ritengono così certo ma non lo escludono”, ha commentato l’avvocato Gnazi. Ma l’udienza della scorsa settimana è stata importante anche per un altro motivo: confermare il reato di omicidio volontario contestato ai Ciontoli. Il compito dei giudici è ora quello di valutare il grado di consapevolezza degli imputati al momento del ferimento di Marco Vannini. Non è ancora stato chiarito, infatti, se alla base del ferimento letale ci sia stata una lite o se si è trattato di un “incidente”, come sostenuto da Antonio Ciontoli, dopo aver parlato di “uno scherzo”. Il pm, a tal proposito, sosterrebbe la tesi dell’incidente, in merito alla quale non sarebbe affatto d’accordo l’avvocato Gnazi. Il colpo, infatti, non sarebbe potuto partire “inavvertitamente” come sostenuto dal capofamiglia dei Ciontoli, “ma era necessario premere volontariamente il grilletto”, come emerso da una perizia sull’arma. L’imputato, nella sua seconda versione sostenne di aver premuto volontariamente il grilletto convinto che l’arma fosse scarica. Tesi alla quale non crederebbe affatto la difesa della famiglia della vittima, né i consulenti del pm. “Secondo me ha sparato sapendo che l’arma era carica. Magari poi non voleva colpirlo, voleva solo spaventarlo – questo non lo so – però non gli si può regalare l’accidentalità del colpo, questa è la nostra posizione”, ha aggiunto Gnazi. Il prossimo appuntamento con la giustizia è ora fissato al prossimo 12 aprile, quando la famiglia di Marco Vannini continuerà a chiedere con forza la verità su quanto avvenuto all’amato figlio ucciso.