La storia di Maria Antonietta è un inno alla vita: sua madre Veronica Tranfaglia, dopo l’iniziale tentazione dell’aborto, l’ha data alla luce il 29 luglio 2011, giorno nel quale ha scoperto che la piccola ha la sindrome di Down. I medici le danno la notizia un’ora prima del parto, che ha rappresentato per lei la fine di una gravidanza complicata. «C’è una trisomia del cromosoma 21», le dicono schiettamente i medici per presentarle la situazione. In quel momento capisce di aver ricevuto una missione che non aveva scelto, ma con i minuti non cresce il peso della sua responsabilità, bensì anche quello del terrore: «Era la prima volta che mi approcciavo al mondo Down», ha raccontato Veronica all’Avvenire. L’aver scoperto poco prima del parto che Maritè era affetta dalla sindrome di Down è stato importante per la nascita della piccola: Veronica, infatti, avrebbe potuto prendere un’altra decisione, se ne avesse avuto modo mesi prima. «Sarò sincera, la Veronica di quei tempi, se avesse saputo in tempo utile, avrebbe accampato qualche scusa e di certo abortito», ha ammesso la mamma di Maritè. Quando la farmacista di origini salernitane ha visto sua figlia per la prima volta il terrore è sparito: «Paura e angoscia sono svanite in un attimo, appena ho potuto ammirare la bellezza sconvolgente di mia figlia, che è sempre una meravigliosa scoperta…». Non mancano gli ostacoli quotidiani, anzi: Maritè ha dovuto fare i conti con deficit di linguaggio, ipotonia e leucemia. La storia di queste battaglie quotidiane della bimba che ora ha cinque anni stata raccontata da Veronica nel libro “Maritè non morde“. Il timore al pensiero di come possa vivere senza i suoi genitori, svanisce con la speranza che Maritè possa farcela da sola. Il contesto nel quale vive del resto è favorevole: suo padre è psicanalista, ha due sorelline più grandi con cui ha instaurato un rapporto stupendo. Ma per molte famiglie il contesto, soprattutto economico, è tutt’altro che favorevole. In quelle pagine allora è facile ritrovare la sua rabbia, ma le parole compongono alla fine un inno alla vita. Una parte dei proventi sarà devoluta alla ricerca scientifica e in particolare a uno studio sui nutraceutici, molecole che potrebbero migliorare la qualità della vita dei pazienti. Questo progetto è curato dalla biologa molecolare Rosa Vacca, del Cnr di Bari, anche lei madre di un bimbo con la sindrome di Down. Ma Veronica attraverso il suo libro chiede anche allo Stato di favorire la formazione e l’integrazione, oltre che di investire sui terapisti: «Noi genitori facciamo il massimo, ma ricevere maggiori attenzioni, anche da chi amministra la cosa pubblica, sarebbe doveroso».