Il secondo nome di tutte le città d’Italia, almeno per la durata della giornata di ieri, è stato “Milano”. Perché quando, nella Chiesa, si parla di Roma si pensa al Vaticano, al centro dell’istituzione, alle questioni burocratiche. Milano, invece, è l’emblema della città economica, del mondo finanziario, dell’apertura o della chiusura verso il sogno, non ancora realizzato, degli Stati Uniti d’Europa. Ecco perché la visita pastorale di Francesco a Milano è stata, in un certo senso, una visita pastorale a tutta l’Italia: le opportunità e gli ostacoli di Milano, anche nei segreti percorsi di fede e di umanizzazione, sono le opportunità e gli ostacoli di tante altre città dello Stivale. Milano, poi, è la città dove a governare la Chiesa che fu di Ambrogio c’è quell’Angelo Scola che, all’ultimo conclave, indossò le vesti del grande “rivale” di Francesco. Divergenze di vedute tutt’ora in corso.
Francesco, con le vesti da pellegrino, è conscio d’andare nel cuore d’Italia: sa bene che in uno come lui, di forte capacità immaginativa, i luoghi contano più dei discorsi, una stretta di mano cercata o scansata dice più di un telegramma formale. E’ consapevole d’essere — volente più che nolente — il faro di un’Italia alla ricerca di se medesima. A colpire, dunque, sono i cinque luoghi scelti da Francesco per conoscere la Milano: quella che ha fatto della moda il suo più bel biglietto da visita, della finanza il suo cavallo di battaglia, dell’imprenditoria il suo orgoglio.
Cinque, in ordine cronologico: le Case Bianche di via Salomone, il Duomo, il carcere di San Vittore, il parco di Monza, lo stadio di San Siro. Sono luoghi-comuni: “Abiti anche tu alle Case Bianche? Quello è uno che è stato nel gabbio! Sei anche tu uno di quelli che vanno in chiesa tutti i giorni? Va bene se ci troviamo al parco? Stasera tutti a vedere Milan-Inter”. Cinque luoghi-comuni che papa Francesco ha sposato — abitandoli anche solo per qualche ora — con il grande sogno che da luoghi-comuni possano diventare dei luoghi-condivisi.
Luoghi che ieri sono stati ritratti tenendo Milano sullo sfondo: luoghi, però, che in ogni città raccontano la vita quotidiana della gente. Qui Francesco ha cercato d’innestare quella freschezza evangelica ch’è il tratto tipico della sua umanità, anche del suo pontificato. Esattamente quello che il filosofo danese Kierkegaard, contemporaneo di Nietzsche, tratteggiò nel suo Diario: “Volgiti a Dio e alla sua scuola e attingerai in te una giovinezza, un aumento di vigore per la tua attività di uomo”.
Il regalo del Papa a Milano potrebbe starsene chiuso qui: che calcolando l’incognita-Cristo nel daffare e negli affari della vita, il primo guadagno è a livello di umanità. La sfida di Cristo, quella che per altri oggi pare essere una sfiga, fu quella di mettersi-di-traverso, a salvezza dell’uomo: andare dietro a Lui non significava farsi preti o suore, ma appariva l’occasione per un di-più di umanità, un raddoppio. Un modo diverso di vivere, d’arricchirsi.
E’ la città di Ambrogio, di Carlo Maria Martini. Di don Giussani e della sua “attrattiva-Cristo”. Il Papa ha scelto d’andare in cinque luoghi per conoscere la città. Oppure, calcolata la sua nota furbizia, quei luoghi li ha scelti perché già conosceva la storia di Milano. E, conoscendola, sa che per far-riconoscere la città a se stessa — anche alle città capita di non ricordare più chi sono, da dove vengono, verso dove stanno navigando — è necessario fare memoria dei luoghi dove la vita pulsa, l’umano cerca la felicità, Dio sta in agguato per fissare gli appuntamenti della salvezza. “Credo che anche il suo stare dentro alla vita reale e spendersi per tutti, sopratutto per gli esclusi, gli dia un’energia fuori dal normale” ha riflettuto il cardinale Scola, un po’ preoccupato per la “maratona” che lo attendeva. Anche stavolta, come in mille altre occasioni, Francesco ha parlato a Milano perché capisse l’Italia. Sua missione è aiutare l’uomo a capirsi.