La morte di Dj Fabo ha riaperto il dibattito sull’eutanasia: il suicidio assistito, infatti, non dev’essere in alcun modo confuso con l’istigazione al suicidio. In un articolo comparso oggi su Il Giornale firmato da Nino Materi, vengono richiamati alla mente due casi in cui la linea tra la dolce morte, intesa come fine dei dolori terreni, e il suicidio immotivato sembra davvero sottilissima. La prima vicenda è quella del giudice Pietro D’Amico, 62 anni, morto nel 2013 dopo aver attuato un suicidio passivo nel centro Lifecircle di Basilea fondato e diretto dalla dottoressa Erika Preisig. All’epoca la figlia Francesca, intervistata da Il Fatto Quotidiano, anticipò, come confermò successivamente l’autopsia, che il padre “non era affetto da alcuna malattia inguaribile, non era malato terminale”. La sua depressione, infatti, lo spinse a falsare la cartella clinica, ma la colpa di Lifecircle, secondo i familiari, fu quella di non compiere gli esami necessari a controllare il reale stato di salute del paziente preferendo intascare le migliaia di euro necessarie a portare a termine la dolce morte: “È stato istigato al suicidio”, conferma tuttora la figlia. Un caso simile è quello di Daniela Cesarini, 66enne di Jesi, che sempre nel 2013 ottenne il suicidio assistito dalla stessa clinica di Basilea. A muoversi contro l’istituto di Erika Preisig, sono oggi i nipoti:”Daniela voleva farla finita e purtroppo ha trovato sulla sua strada persone che si atteggiano a Santa Teresa di Calcutta e che sono invece attente al denaro.Il nostro medico in Italia ci ha dichiarato che Daniela non era in cura per nessuna grave patologia”. Ma come si difende dalle critiche la diretta interessata? Interpellata al riguardo, la dottoressa Preisig non vacilla:”«Credo profondamente in Dio, la mia missione e aiutare il prossimo. Prego sempre insieme con chi decide di chiudere la porta della vita. Una porta che io cerco di convincere a tenere aperta. Alla fine assecondo la volontà di chi quella porta la sbarra per smettere di soffrire. Lo faccio rispettando la dignità umana, le leggi del mio Paese e quelle della mia coscienza”.