La discussione sull’utero in affitto in Italia dimostra che ci sono due concezioni alternative sull’uomo e la vita, ma è l’opinione pubblica ad affrontare questa delicata questione, non il governo Gentiloni. La debolezza dell’esecutivo su un tema che tocca da vicino tantissimi cittadini è stata dimostrata dalla clamorosa ordinanza della Corte di Appello di Trento, che ha riconosciuto la piena genitorialità a una coppia gay dopo la nascita di due gemelli grazie all’utero in affitto. La magistratura sta colmando il vuoto legislativo e rompendo il silenzio che regna a Palazzo Chigi. «Quando il Parlamento decide di non decidere, i cittadini non si fermano e si rivolgono ad un altro Potere dello Stato, la Magistratura» ha spiegato Monica Cirinnà, senatrice del Partito Democratico, a Tgcom24. Fino a quando non sarà codificata una legge in merito, però, lo scontro rimarrà sul piano culturale dato che su questo punto l’interpretazione dei principi costituzionali è controversa.
La decisione del tribunale di Treno, che ha riconosciuto la genitorialità a due uomini dopo la nascita di due gemelli con la maternità surrogata, cioè attraverso l’utero in affitto, ha riacceso il dibattito sul diritto di un bambino ad avere una mamma. Per molti si tratta di una pratica che declassa le donne a oggetto materiale, a merce in una logica riproduttiva. La giornalista e scrittrice Marina Terragni ha alzato il velo sul mercato dell’utero in affitto nel pamphlet “Temporary Mother”: in California una madre surrogata può costare fino a 150mila euro, ma per una donna indiana ne bastano 20-30mila. Terragni ha parlato di «scippo della maternità». Quest’ultima per la scrittrice va intesa come valore intoccabile e inalienabile. Sono tanti gli aspetti su cui riflettere: ad esempio, ci si può mettere nei panni del figlio, che magari un giorno potrebbe chiedere di sapere chi è sua madre. «Che diritto hanno i grandi di decidere per un bimbo, una persona, che magari un giorno vorrà sapere chi è sua madre e non potrà farlo?» si chiede Anna Maria Ferrari sulla Gazzetta di Parma.
L’espressione “utero in affitto” si utilizza per indicare la surrogazione di maternità o la gravidanza surrogata, una pratica particolare di fecondazione assistita nella quale la donna provvede alla gestazione e al parto per conto di una persona o di una coppia, eterosessuale o omosessuale, impegnandosi a consegnare il nascituro. La fecondazione può avvenire con concepimento in vitro o essere effettuata con seme e ovuli della coppia. In Italia è una pratica medica vietata, per questo molti ne usufruiscono all’estero. In tal caso, però, si pone il problema del riconoscimento del legame tra il figlio e il genitore non biologico. Questa situazione si verifica quando l’ovulo o lo spermatozoo sono donati da un soggetto terzo. Mancando una disciplina che stabilisca il legame parentale tra il neonato e il genitore sociale, alcune famiglie si sono rivolte alla magistratura che si è espressa in modi talvolta contrastanti.