Abituati a vederlo con Aldo e Giovanni, Giacomo Poretti è invece per chi lo segue da più vicino un attento e ironico osservatore della realtà, con sguardo critico molto meno banale di quanto si possa pensare. «Una volta ci si fidava di più e forse si pensava che una qualche verità e certezza esistessero. Devo confessare che personalmente troverei molto comodo se esistesse una verità, invece nel caso non esistesse sarebbe un bel guaio». Lo scrive nel suo articolone della domenica su Avvenire, che spesso ospita le considerazioni e le divertenti “analisi” della realtà semplice di tutti i giorni. L’inizio è scoppiettante: «Non so chi abbia cominciato per primo. A dubitare intendo. A insinuare il sospetto che le cose che accadono non sono come ce le raccontano. Ce le raccontano chi? Ecco un’altra bella domanda: appunto, ci sarà stato oltre a chi ha dubitato per primo anche chi ha dato per primo il nome alle cose». Un neanche troppo nascosto anti-inglesismo («tutti curiosamente sono stati d’accordo su quel nome, a parte gli inglesi, che già dal paleolitico erano isolazionisti») porta l’accento sul problema del dubbio costante e della nascita di parole, concetti e simboli: «quell’animale con un naso penzolante e 2 corni all’insù al posto dei baffi, chi lo ha chiamato elefante? come avranno fatto? hanno indetto un referendum? e le parole al vaglio degli elettori quali saranno state: Gervuz? Pinarattolo? Magerbo? oppure si sono affidati allo scemo del villaggio il quale sollecitato dava i nomi alle cose e agli animali?». Il serio misto a faceto è il regno di Giacomino Poretti, che ci delizia entrando poi nel ventre della questione; «Il bello è che una volta fatto il referendum o quando arrivava il responso dell’Inventanomi poi tutti erano d’accordo fino all’eternità: l’elefante è sempre stato elefante da che mondo è mondo, il sasso non ha mai mutato nome nei millenni, aerofagia è sempre stata chiamata così fin dalla prima flatulenza che si ricordi». 



Una volta ci si fidava di più, dice il più piccolo (di statura) del trio comico che ha fatto divertire tutta Italia. Già, la fiducia che mista alla semplicità porta una maggiore certezza, e non un maggior dubbio come sembra invece dominare nelle nostre vite sempre più spesso. «Voglio dire che nessuno si è messo li a romper le scatole a polemizzare perché la patata si chiamava patata, nessuno si è mai permesso di creare un movimento culturale contro la patata con l’intento di cambiargli il nome, anche perché un rompiballe di tal fatta si sarebbe preso una serie di schiaffoni e via andare!», racconta divertito Poretti sull’Avvenire. E poi un attacco “grammaticale” tutt’altro che banale: «Intendo riferirmi anche alle regole grammaticali tipo che il condizionale regge il congiuntivo, o che su qui e qua l’accento non ci va. Eppure qualcuno deve aver cominciato. Perché sono convinto che se uno ha il coraggio, la sfrontatezza, l’ignoranza, la follia, la cattiveria di mettere in dubbio che su lì e là l’accento ci va, beh il mondo alla lunga è destinato a franare verso l’insensatezza». Il crollo delle evidenze e delle fiducia, in pratica il crollo della realtà nella sua semplicità come l’accogliamo: «non avrete più fiducia nei professori e nei maestri dei vostri figli, non avrete più un medico di fiducia perché sarete sospettosi di ogni medico, infine direte che Dio è morto. Che non crederete più in nessuno, né in vostra moglie, nei vostri figli, nella vostra squadra di calcio, sarà solo la conseguenza del fatto che non vi fidate più. Di niente. Di nessuno. Ma chi ha dubitato per primo?». Chapeau Giacomino. (Niccolò Magnani)



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