Quello dei suicidi sotto i treni è un fenomeno che non segna solo vite delle famiglie delle vittime, ma anche quelle dei macchinisti. E in Germania, ad esempio, negli anni passati ha portato molti di loro a lasciare il lavoro per lo shock provato, nonostante il sostegno psicologico d’emergenza offerto dalla Deutsche Bahn, le Ferrovie tedesche. In Italia nel giro di due settimane sono avvenuti cinque suicidi sotto i treni e ciò ha sollevato la questione dello shock post traumatico per i macchinisti anche nel nostro Paese. Ne ha parlato a Il Gazzettino un giovane macchinista veneto, che tre anni fa ha assistito al suicidio di un coetaneo. L’uomo, che conduce da una decina d’anni i regionali sulle linee dei pendolari da Venezia-Udine a Venezia-Castelfranco, ha raccontato come vive il drammatico fenomeno degli investimenti sui binari.
Il dipendente di Trenitalia non riesce a dimenticare quanto ha visto: «Sono traumi che ti segnano per la vita, impossibile dimenticarli». Il treno andava a 140 km/h, limite stabilito dal sistema di sicurezza: a quella velocità il completo arresto richiede 500 metri. Troppi per evitare di investire il giovane suicida. Il regolamento prevede che sia il capotreno a scendere per le verifiche, quel giorno c’era una ragazza in servizio e il macchinista non se l’è sentita di farla scendere da sola alla ricerca del cadavere: si sono, quindi, incamminati lungo i binari mentre davano l’allarme al gestore della tratta e alla polizia ferroviaria. «Ho parlato con la psicologa, mi sono preso qualche giorno di ferie. Ogni volta che ero solo, rivedevo la scena davanti a me, chiedendomi se avevo fatto tutto il possibile. Conoscevo già la risposta: sì» ha aggiunto.
Nonostante non sia responsabile dell’incidente, il macchinista non riesce ad accettare quanto accaduto, anche perché «le famiglie delle vittime sono poi chiamate anche a pagare i danni causati al blocco della circolazione ferroviaria». Il macchinista che ha fornito la sua testimonianza a Il Gazzettino non è stato indagato, perché la dinamica era chiara, così come la volontà del suicida, ma alcuni suoi colleghi sono finiti sotto inchiesta e ciò aggiunge dolore al dolore. «Gli inquirenti dovrebbero mettersi nei panni dei macchinisti, che ogni giorno e ogni notte lavorano con l’incubo di trovarsi davanti qualcuno che si butta sotto il treno» ha concluso.