Dopo 37 anni dall’omicidio di Walter Tobagi l’amico Giampaolo Pansa racconta nel suo nuovo romanzo autobiografico (‘L’Italia non c’è più. Come eravamo, come siamo’, edito da Rizzoli) il suo rapporto con il giornalista ucciso nel 1980. All’inizio della primavera di quell’anno, poco prima dell’attentato terroristico, i due si incontrarono e parlarono anche di terrorismo. Pansa racconta, riporta Il Giornale, di aver chiesto a Tobagi se avesse paura e questa fu la sua risposta: “Sì. Ma avere paura è inutile. Non serve a evitare il pericolo. E soprattutto non ti aiuta a sopravvivere”. Walter Tobagi era a rischio per vari motivi: era “l’inviato di punta sul terrorismo” al Corriere della Sera, era il presidente dell’Associazione lombarda dei giornalisti, ed era un “socialista cristiano”. “Ma forse la causa vera del pericolo che lo sovrastava era ancora un’altra – sottolinea Pansa -. Walter aveva appena trentatré anni, però si stava avviando per una strada lunga che lo avrebbe portato in alto nel mestiere e, forse, nella politica. I suoi modi erano pacati. L’aspetto e il tratto potevano sembrare da giovane prete”. Clicca qui per leggere tutto.  



Walter Tobagi fu ucciso a 33 anni a Milano il 28 maggio 1980: il giornalista fu assassinato in un attentato terroristico compiuto dalla Brigata XXVIII marzo, un gruppo terroristico di estrema sinistra. La carriera di Tobagi, dopo gli studi, iniziò all’Avanti!, per passare poi all’Avvenire e al Corriere d’Informazione e arrivare infine, nel 1972, al Corriere della Sera. Qui Walter Tobagi seguì tutte le vicende relative agli ‘Anni di piombo’ e agli episodi di sangue più efferati con protagoniste le Br, Prima Linea e le altre bande armate. Il giornalista fu ucciso in pieno giorno con cinque colpi di pistola da un “commando” di terroristi di sinistra (Marco Barbone, Paolo Morandini, Mario Marano, Francesco Giordano, Daniele Laus e Manfredi De Stefano). Dopo pochi mesi dall’omicidio gli assassini furono appunto individuati e arrestati. Il leader della neonata Brigata XXVIII marzo, Marco decise subito di collaborare con gli inquirenti e proprio grazie alle sue rivelazioni l’intera Brigata fu smantellata.

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