Essere sopravvissuto alla strage di Capaci è stata una condanna per Giuseppe Costanza, l’autista del giudice Giovanni Falcone. Scampato al tritolo della mafia, è stato schiacciato invece dalla burocrazia italiana. Dopo anni passati in prima linea è finito a fare fotocopie nel palazzo di giustizia di Palermo. Aveva ricevuto una medaglia d’oro al valor civile, ma Costanza voleva solo lavorare, essere ancora utile. «Ad esempio, avrei potuto coordinare il parco auto del tribunale», ha dichiarato a La Repubblica, spiegando che la sua proposta fu bocciata perché serviva una qualifica più alta e che la promozione per meriti di servizio è prevista solo per il personale militare. Eppure portava sempre con sé una pistola con il colpo in canna quando guidava l’auto blindata di Giovanni Falcone, collegata via radio alla sala operativa della questura. Pensava di aver vissuto il giorno più brutto della sua vita il 23 maggio 1992 e, invece, da quel giorno è cominciata un’oddisea che ha raccontato in un libro, “Stato di abbandono”.
L’autista del giudice Giovanni Falcone ha raccontato in un libro la sua storia, quella di un uomo che pensava di aver superato l’ostacolo più grande della sua vita, sopravvivendo alla strage di Capaci, e che invece ha scoperto di dover sconfiggere un altro nemico, la burocrazia italiana. Giuseppe Costanza sentiva di aver ancora molto da dare alle istituzioni e, invece, nel 2004 è stato dispensato dal servizio. Ora gira per le scuole italiane per parlare di Giovanni Falcone e degli anni difficili a Palermo. Sono ancora molti i punti oscuri di quella vicenda, a partire dal mistero sul computer del giudice. Il portatile rimase in ufficio, al ministero di Giustizia. Non è l’unico giallo: «Ancora mi chiedo chi l’abbia voluto fermare», ha dichiarato Costanza a La Repubblica. Quello fu l’ultimo viaggio verso Palermo del giudice, che una settimana prima annunciò al suo autista di dover diventare il nuovo procuratore nazionale antimafia.