Giovanna Bordiga ha settant’anni anni di età. Da quasi settant’anni è spastica, a causa di un’itterizia contratta da piccola. Da venti è inchiodata a una carrozzina. Da quattro ha il catetere fisso. Ormai deglutisce con estrema difficoltà, fatica a bere ed è a rischio disidratazione. Con enorme sforzo emette un flebile suono di parole che si comprendono con l’aiuto del labiale. Ha dolori ovunque. Quanto tempo di vita le rimane? L’umana previsione dice non molto, la malattia è progressiva e inesorabile. In ogni caso per Giovanna la sua “non è più vita”: desidera  senz’altro finire qui il suo viaggio terreno. In Italia, se “si fa una legge per i malati”. O se no “all’estero”.



Giovanna Bordiga è prima d’ogni cosa una donna da conoscere. Prima, voglio dire, dei tiri alla fune sul testamento biologico e l’eutanasia. E’ una storia umana da guardare. Giò è montanara d’origine, essendo nata a Bagolino, 800 metri di altezza fra il lago d’Idro e l’Adamello, dove la gente bresciana, lì all’estremo confine con quella tridentina, è gagliarda come le cime e tosta come le querce. Di tale fatta è sempre stata la Giò, per nascita e per cultura: mai arrendevole. Ha tenacemente coltivato con la pittura e le esposizioni la passione per la bellezza; altrettanto tenacemente ha sostenuto la sua battaglia per i diritti degli animali. Adesso tuttavia sente di non farcela più. Anche perché è da sola, e la prospettiva di una casa di ricovero non se la sente di affrontarla: teme maltrattamenti, avendone già avuto cospicuo assaggio nei lunghi periodi trascorsi in istituto, da bambina.



Sul Corriere on line Giovanna risponde nel modo faticoso che s’è detto alle domande poste con molto garbo dalla giornalista. Sono risposte brevi, di pochissime parole,  che appaiono anche scritte per poter essere colte. Eccole. Alla domanda se ha dolori: “molti, alla testa e alle spalle”. Perché ora desidera finire la sua esistenza? “Questa non è più vita. Voglio volare, su. Voglio volare lassù!”. Ha avuto aiuto dalle istituzioni o ha dovuto fare da sola? “Parecchio da sola”. A chi chiede aiuto? “Allo Stato”. Per cosa? “Fare una legge per i malati”. E se la legge non ci sarà? “Vado all’estero. Io voglio volare via”.



Ohé, malgrado l’argomento, non una sola volta Giò pronuncia la parola morte o morire, nemmeno eutanasia. Dice quattro volte “voglio volare su”. Lo dice con la testa rivolta al cielo. E lo ripete con gli occhi fissi negli occhi della giornalista.

Volare. Forse fra le braccia di quella suorina di Calcutta i poveri morenti per strada si sentivano anch’essi di volare. Leggeri, liberi, in uno spazio felice fatto intuire e gustare da quell’abbraccio. Chissà. Certo è che qualcuno, prima di spiccare il grande volo, mormorò all’orecchio della santa “Ho vissuto tutta la vita come un animale, muoio da uomo, contento”.

E quante vecchiette di fede tradizionale abbiamo sentito invocare il Padreterno che le portasse presto, il prima possibile, con sé, via da questa valle di dolori (e tenesse la sua mano sulla testa dei cari che restavano qui) perché null’altro altro rimaneva di veramente desiderabile se non volare lassù.

Certo che la morte non possiamo darcela da noi, perché non da noi ci siamo dati la vita. Pure perché non scorgere in questo voler volare non solo il basta assoluto a questa vita infelice, ma anche il desiderio dell’eterna felicità? (e che dono è la fede che dà, essa sola, certezza a riguardo dell’Oggetto del desiderio).

C’è ancora un aspetto della vicenda di Giovanna che merita d’essere considerato. S’è detto che non ha famiglia ed è sola. A chi si rivolge?, le chiedono. “Allo Stato”. Già. Lo Stato. Lo Stato è quell’entità che quando Giovanna ha compiuto 65 anni, ha cominciato tramite Inps a erogarle la dovuta pensioncina di vecchiaia e contemporaneamente, tramite vattelapesca, le ha tolto ipso facto la fisioterapia. Che per la Giò non era esattamente una prestazione voluttuaria. Povera, cara Giò, amica degli animali. Se almeno la fisioterapia per i vecchi si potesse far “passare” (in Italia si fa “passare” di tutto) come spesa veterinaria, sì, come spesa sanitaria per gli animali (“legalmente detenuti a scopo di compagna o per attività sportiva) almeno avrebbe diritto a detrazione fiscale pari al 19 per cento (fino a un massimo di euro 387,34, applicando beninteso franchigia di euro 129,11). Perché amare gli animali è giusto. Però sarebbe bello amare (e curare) anche gli umani, specie quelli vecchi, poveri, malati e soli. Per il tempo lungo o breve o brevissimo che il buon Dio gli darà ancora da vivere, prima di farli “volare su” e prenderli in carico direttamente Lui stesso, a tempo indeterminato.