Dare voce alle persone è la cosa giusta da fare per migliorare il mondo nelle prossime decadi e la diffusione delle fake news è solo uno dei tanti problemi che andranno affrontati nel corso di un processo che è sempre un “work in progress”. In un’intervista a Fast Company il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg torna così a parlare delle fake news e di come il suo social network si rapporta a queste notizie false che tendono a diffondersi sul social network: “Alcuni criticano la nostra posizione asserendo che Facebook consenta la disinformazione, ma lo fanno perché pensano che gli permetterà di fare più soldi. Non è assolutamente vero. Sappiamo che le persone della nostra community vogliono la vera informazione, Ogni volta che diamo loro gli strumenti per accedere a contenuti di più alto livello, loro scelgono sempre quelli. Ma allo stesso tempo, crediamo anche nella libertà di parola. Le persone dovrebbero avere la possibilità di dire quello che pensano, anche se alcuni sono in disaccordo con ciò. E la libertà di parola è una cosa buffa perché le persone vogliono sempre la possibilità di usarla, a meno che siano in disaccordo con chi la usa. Quindi non lo so esattamente, a volte quando prendi decisioni che non accontentano totalmente gli altri, questi pensano che lo fai per ragioni di business che non riveli, ma in realtà molte di queste cose sono più valori che noi sosteniamo”.
Alla domanda se fosse sorpreso di vedere la diffusione delle fake news, il fondatore di Facebook ha risposto: “Continuo a credere che dare più voce a più persone possibile sarà la forza positiva in questa società, ma si tratta di un lavoro in corso. Parliamo di voler dare voce a tutti, ma poi la maggior parte delle persone non hanno accesso a internet. Quindi se non hai gli strumenti per condividere le tue idee con tutti, questo non ti porterà lontano. Per me è un lavoro che ci spinge sempre più lontano, cercando di dare gli strumenti giusti alle persone per dire la loro. A ogni passo avanti, scopri che c’è qualche problema che devi risolvere per arrivare al livello successivo. Alcuni possono dire che tolleriamo questi problemi. Ma la spiegazione più semplice è che Facebook è una comunità in evoluzione. Creiamo nuove cose, affrontiamo nuovi problemi e continuiamo. Qualche anni fa c’era il problema dei click bait. Nessuno li vuole, ma a quel tempo i nostri algoritmi non erano ancora definiti specificamente per riconoscerli. Ora il problema non è risolto al 100% ma è molto più ridotto rispetto ad allora. Ora il pluralismo, la disinformazione o creare un terreno comune sono le cose su cui bisogna lavorare. Non sono problemi che esistono perché ci sia un motivo che viene taciuto da noi. Certo, se dai voce a molte persone questo porta alla diversità di opinioni e ciò, se non lo gestisci porta alla frammentazione, ma ma credo che sia nell’ordine delle cose. Prima dai voce alle persone e poi pensi alle implicazioni e ci lavori. È un costante work in progess. Dare voce a tante persone può portare a cose controverse. Ci sono leggi in alcuni Paesi che ti impediscono di dire certe cose e come principio generale noi tendiamo a seguire le leggi locali. Siamo d’accordo? Non necessariamente. C’è stato un caso in Pakistan qualche anno fa quando qualcuno provò a condannarmi a morte perché qualcuno aveva creato su Facebook un gruppo che incoraggiava a rappresentare il profeta Maometto. Questo era illegale in Pakistan ma non nel resto del mondo. Noi non l’abbiamo mostrato in Pakistan ma non l’abbiamo oscurato nel resto del mondo. Qualcuno era contro il fatto che lo stessimo oscurando, altri si chiedevano perché lo stessimo oscurando solo in Pakistan. La nostra visione è che stiamo provando a dare alle persone più voce possibile nel mondo, capendo che non è perfetta su tutti punti, ma se facciamo il nostro lavoro il giorno dopo aumenteremo l’ampiezza di ciò che le persone possono fare e tra 20 0 30 anni il mondo sarà un posto migliore”.