Un passo in più, abbastanza deciso, verso la piena accettazione della maternità surrogata, o utero in affitto come è più comunemente conosciuta questa pratica. Lo ricordiamo, in Italia è (per ora) vietato poter far completare la gestazione ad una donna terza alla coppia richiedente, ma dopo questa sentenza passata in giudicato ad Agrigento potrebbero cambiare ulteriormente i prossimi scenari su una delle vicende più spinose e delicate dell’intero panorama di etica & diritti civili. I giudici di Agrigento hanno accettato il ricorso presentato da una coppia sposata e che aveva usufruito della maternità surrogata in Ucraina, dopo l’asportazione dell’utero della donna siciliana. Trasmettendo i dati del nascituro alla ambasciata italiana non era stato possibile segnare il nome della madre italiana per via della legislazione italiana che non lo consente. Da oggi in pratica per lo Stato non è vietato e anzi deve essere completato come iter, la trascrizione nel registro di stato civile come madre il nome della donna italiana che ha fornito i propri ovociti da impiantare nell’utero “in affitto” di un’altra donna, in questo caso la ragazza ucraina che si è letteralmente prestata all’esercizio della maternità surrogata.
In questo modo il figlio viene registrato all’atto di nascita sia col nome de padre, come prima, e sia col nome della madre (non quella naturale, insomma). Nella sentenza pubblicata oggi anche dal Corriere della Sera si legge in uno stralcio, «si sottolinea come il principio del superiore interesse del minore non può essere bilanciato se non con principi di pari rango e non è il caso del divieto della surrogazione di maternità che seppur sanzionato penalmente dalla legge 40 non ha rilievo costituzionale primario». Resta evidente come tale decisione avvicina ad una possibile legittimazione a livello legale in Italia di una regolare pratica della maternità surrogata, dando già ora in crediti ufficiali di “madre” per chi non ha materialmente portato a termine la gestazione. Un passo in più verso una legittimazione ma anche un passo in più verso una possibile “ambiguità” sui termini legislativi attuali di una situazione già di per sé complessa e delicata.