Quello degli yazidi, minoranza religiosa del Sinjar iracheno, dal 2014, ovvero dall’invasione dell’Isis, è un destino crudele. Gli uomini furono sterminati, le donne divennero schiave del sesso ed ancora oggi, molte di loro sono nelle mani degli aguzzini e sottoposte ad orribili violenze. Sono poche le yazide che sono riuscite a scappare a questo incubo poiché in tante hanno preferito il suicidio alla vergogna di tornare in casa e di essere stigmatizzate a causa delle violenze subite. Tra le sopravvissute c’è una giovane 22enne che prima dell’arrivo dell’Isis era felice insieme al marito ed in attesa all’ottavo mesi di gravidanza del loro bambino. Poi, per lei tutto cambiò. A raccontare la sua terribile storia è la stessa yazida, intervista da Selvaggia Lucarelli per Il Fatto Quotidiano. La 22enne ricorda bene l’arrivo dei miliziani di Isis: erano le 4 di notte del 3 agosto di tre anni fa. “Io, la mia famiglia e alcuni abitanti siamo scappati, ma dopo poco siamo stati catturati”: inizia così il suo racconto shock. Uomini, donne e bambini furono tutti separati, denudati dei propri beni e portati via. Le donne furono portate a Tal Afar e, dopo essere state radunate in una scuola sono state picchiate e violentate. “Io ero incinta di otto mesi, dopo una settimana sono stata trasferita in una casa per partorire”, ha aggiunto. Le violenze continuarono anche dopo il parto. “I miliziani non volevano donne incinte”, ha raccontato la giovane yazida. Per questo motivo, chi era al terzo o quarto mese di gravidanza evitava di rivelarlo per scongiurare un aborto.
Dal suo rapimento alla fuga, la giovane yazida 22enne ha trascorso sette mesi di violenze ed abusi. Una notte fu caricata su un camion e portata a Raqqa. Dopo essere stata schedata fu assegnata ad un uomo il quale abusava di lei tutti i giorni. “Diceva che se mi fossi rifiutata avrebbe ammazzato mio figlio”, ha raccontato la 22enne. In merito al bambino, i miliziani lo drogavano affinché dormisse. Successivamente fu affidata ad un’altra casa: qui ha tentato più volte la fuga fino a quando un curdo, fingendo di aiutarla, l’ha portata al check point di Daesh. Da qui il trasferimento in un’altra prigione e successivamente in una terza casa da un altro miliziano. Qui è riuscita a ricevere l’aiuto della moglie che le prestò dei soldi per mettersi in contatto con il fratello. “Gli ho detto dove ero, lui ha chiamato due curdi a Raqqa. La mia famiglia ha offerto loro 13.000 dollari per portarmi via. Altri 12.000 li ha pagati il governo curdo”, ha spiegato. Il giorno della fuga lo ricorda bene: doveva incontrarsi con i due curdi fuori dal palazzo dove viveva. Ha indossato il velo integrale, chiuso la donna che la ospitava in casa ed è andata via. Dopo vari check point e tanta paura riuscì a raggiungere il confine con l’Iraq e qui che, dopo due giorni, suo cugino e uno zio, dopo essersi accordati con il governo curdo, la vennero a prelevare. Per lei e per il suo bambino arrivò finalmente il giorno della salvezza.