Hanno mangiato, bevuto. Lui ha lavato i loro piedi, asciugati, baciati. Poi ha deciso di farsi pane, di farsi divorare: “Li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Fino all’esaurimento, al bordo estremo dell’amore s’è sporto il Dio-equilibrista. A loro non ha chiesto nulla, solo la libertà di starsene e andarsene: a governare con la paura lasciò che fossero gli incapaci a farlo. Lui scelse il governo della libertà, senza la quale non ci sarà mai gioia. Dunque: “volete andarvene anche voi?” Quella volta — a Cesarea — erano tutti petti gagliardi: “Andare da chi, Maestro? Nessuno è come te”. Stasera, invece, tutto come previsto. Nell’ora esatta per la quale erano stati partoriti — “Li chiamò perché stessero con lui” (Mc 3,14): è il motivo della sequela — fallirono il bersaglio: “Andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza” (Lc 22,45). 



Nati per fare l’adorazione-perpetua del loro Dio, lasciano il loro Dio a morire da solo, come un cane: “Padre, se vuoi allontana da me questo calice”. Oggi è Cristo che trema, non l’uomo: vorrebbe fuggir via, “tuttavia non sia fatta la mia ma la tua volontà” (Lc 22,41-42). Il Cristo-impaurito va alla ricerca di una carezza, di una coccola, di un cuore sveglio. La scena che Gli si mostra innanzi è da vertigine: undici preti su dodici li trova addormentati “per la tristezza” (Lc 22,45). Aveva chiesto loro un solo favore in tutta la loro storia, rispetto a quell’iradiddìo di cose-belle fatte per loro: aveva chiesto che non dormissero, che gli tenessero compagnia. Niente di tutto ciò: nel momento del bisogno, Cristo è solo. Torna tre volte da loro, quasi che anche Dio si ribelli all’idea che l’uomo l’abbandoni. Invece è tutto vero, e Cristo allarga le braccia: “Dormite ormai e riposatevi” (Mt 25,8). La tentazione li ha massacrati, Lucifero li ha scartavetrati con le sue ninne-nanne: il più grande peccato dell’uomo è prendere sonno stanotte, proprio quando è Dio a chiedere aiuto. Dio è il più solo di tutti i solitari: la gente muore quando viene dimenticata.



Solo don-Giuda è sveglio: “Salve, Rabbì” (Mt 26,50). Solamente Giuda e Lucifero, che gli ha appena fatto un bonifico di trenta denari in cambio dell’affitto del cuore. Satana fu l’unico, tra tutti coloro che hanno seguito il Cristo, a ricordarsi di tenergli compagnia. Dalla Croce: “Guarda giù, Gesù. E’ la tua città!”. Ciò che Cristo vede dalla croce è spaventoso: giù è tutta una festa, i soldati giocano a dadi lì sotto, i preti sono dati tutti per dispersi. Il Padre tace, la Madre in panne, gli amici disertori. Lucifero, animale da battaglia, fino all’ultimo gioca di fioretto: “Guardali, e dimmi: sei sicuro che a tutti costoro manchi come dici di mancare?” Satana-pungiglione: “A me pare che a nessuno gliene freghi niente di te. Salta giù, lasciali perdere”. Fine della storia più ambiziosa mai udita sotto il cielo. L’urlo della terra è risposta alla cafonaggine: “Verso mezzogiorno il sole si eclissò, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio” (Lc 23,44). Da mezzogiorno alle tre: “da-a”, complemento di tempo-determinato. Non sarà per sempre. Complemento di buio-determinato: promessa del Re.



Lucifero è spavaldo, Gerusalemme gode come una lurida, il conclave del cenacolo è già in doccia: fine-corsa, tutto così bello e impossibile. Non per tutti: “Un’anima può arrivare a Dio attraverso una serie di delusioni” (F. Sheen). Sul ciglio dell’abisso, s’annuncia l’inatteso “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Parola di brigante: parola ladra, fuggitiva, d’annunciazione: “Tu sei Re, ti credo. Se non t’arrabbi, fai una preghiera per me lassù”. Nell’oscurità le parole pesano doppio: “Sarai con me nel paradiso, stasera” (Lc 23,42-43). Gli fece compagnia l’ultimo della classe: “Spirò” (Lc 23,46). I primi hanno preso sonno in classe: il Maestro stava giusto spiegando quanto costi amare davvero. Date tempo al tempo: la differenza tra la croce e il Crocifisso sarà Cristo. Oggi, intanto, è buio-pesto: hanno spento la Luce. Presto bestemmieranno il buio.