La Madre di tutte le Bombe, o la Madre Bomba. Il lettore, o la lettrice, non può non rimanere stupito di fronte a questo annuncio, titolo e nome. A ritroso, iniziamo dal nome e forse ci possiamo domandare perché Madre e non Padre. Una risposta semplice e immediata è che nel gergo anglo-americano quando si vuole significare che qualcosa è grandioso e anche smisurato si usa dire: the Mother of All… generalmente applicato a cose stupefacenti e belle. In questo caso, siccome si tratta di una bomba madornale (ed ecco che ci accompagna il lessico italiano, dal latino medievale “maternalis” che acquista nel tempo una connotazione negativa: spropositato, inaudito e grosso, ma che alla sua radice è un termine botanico per descrivere una pianta e specificamente il suo ceppo, da cui nascono le fronde), ci si domanda allora perché questo femminile si riferisca ad uno strumento di guerra. E sicuramente qualcuno salterà su a urlare che anche la guerra è al femminile! Ahimè, sì. Arrendersi conviene, perché il linguaggio, dopotutto, traccia la storia umana con tutte le sue complessità, dualità e ambiguità.



Lasciamo perdere il genere del nome per quanto possa scandalizzare e passiamo al titolo che si trova sui giornali con questo nome. C’è qualcosa di perverso nell’uso di questa fraseologia per descrivere un arma così enorme che dev’essere portata e scaricata dal retro di un aereo cargo con una modalità straordinaria. Questa bomba — chiamata GBU-43/B Massive Ordnance Air Blast — che viene descritta come la più potente bomba convenzionale, non nucleare, dell’arsenale americano, lanciata sulle caverne dove si cela l’Isis in Afghanistan, come ora sappiamo, nasconde nel suo nome e annuncio, sia il lato positivo che quello negativo. 



Vediamo quello negativo, facilmente riconoscibile perché tutti noi siamo rimasti stupefatti e allarmati di fronte a questo mostro di guerra di cui non si sapeva nulla e con cui ora la “nuova” America, quella di un presidente che ha promesso di tornare a farla Great quindi First nel mondo, si fa protagonista nel teatro agonistico in cui viviamo noi, meri personaggi “extra”. Se ne parla come una macchina di distruzione verticalmente e orizzontalmente potentissima, come nessun’altra prima. A guardare le immagini ci può sembrare una grande buona balena. C’è un che di grottescamente buffo nella sua apparenza, ed ecco che incontriamo la questione o il dilemma, direbbe Amleto.



Si insiste che è “convenzionale”, e nell’era che doveva essere post-nucleare è molto importante sottolineare questo, perché solo i cattivi, come i nordcoreani, ancora pensano al nucleare. Ma confessiamo che accanto all’orrore che tale oggetto bellicoso ci causa giace, silente e non tanto dolente, non solo un senso di sollievo per aver forse finalmente trovato l’arma meno olocaustica per eliminare il nemico che ci insanguina le strade a sorpresa e ovunque da anni, ma proviamo anche una certa ammirazione e approvazione di quello strano individuo che ha deciso di lasciar fare ai militari ciò che loro sanno fare bene. E confessiamo che quando si tratta di difenderci, in casa magari, tiriamo fuori ogni arma. 

Ecco che restiamo a bocca aperta di fronte a tutto ciò, o semmai sorgono dei pensieri simili a quelli riflessi dalla profonda incertezza del già citato Amleto: “Se sia più nobile sopportare le percosse e le ingiurie di una sorte atroce, oppure prendere le armi contro un mare di guai e, combattendo, annientarli…”.