Cosa significa avere dipendenti islamici in fabbrica? Secondo un’inchiesta de Il Giornale realizzata da Stefano Filippi, si presume che in Italia lavorino un milione di musulmani. Questo, per le imprese che assumono, significa dover fare i conti spesso con una serie di richieste e di esigenze che sono pressoché totalmente ignorate dai contratti collettivi nazionali. L’esempio più calzante sembra essere quello della mensa: la religione musulmana – al pari di quella ebraica – prevede infatti che certi tipi di carne non debbano essere assunti. Come ci si comporta in questi casi? I più tutelati sembrano essere i dipendenti metalmeccanici, per i quali è stata istitutita una Commissione nazionale per l’integrazione dei migranti volta a rispettare, anche a tavola, le differenze di culto religioso.



Si tratta, però, di indicazioni generiche, incapaci di semplificare il rapporto tra datori di lavoro e dipendenti. Di certo la questione è più regolamentata quando si parla dei giorni di riposo: i musulmani, infatti, come recita ad esempio il Ccnl per i soci e dipendenti delle cooperative esercenti attività relative agli impianti sportivo e del tempo libero, hanno il “diritto di osservare il riposo settimanale in un giorno diverso dalla domenica”.



Ne deriva che le ore di lavoro vengono poi recuperate, senza compensi straordinari, la domenica. L’aspetto più delicato è certamente quello relativo ai doveri di preghiera del lavoratore musulmano. Tra le richieste che più spesso vengono presentate ai datori di lavoro vi sono il diritto a partecipare alla preghiera comunitaria delle 12 del venerdì, ad ottenere pause quotidiane di 15 minuti per la preghiera di rito (nei luoghi e negli orari più consoni), a ricevere permessi straordinari per recarsi a La Mecca, e all’alleggerimento delle mansioni nel mese del Ramadan.

In questo caso i modelli di maggiore funzionalità sono la Castelgarden di Castelfranco Veneto (Treviso) e la Pavinato di Thiene (Vicenza): nella prima, fin dagli anni Novanta è stata costruita una piccola moschea all’interno dell’azienda per garantire i bisogni dei lavoratori musulmani; nella seconda i dipendenti hanno ottenuto la possibilità di svolgere orario continuato durante il Ramadan, così da saltare la pausa pranzo e uscire un’ora prima. Sembra trattarsi, però, di casi isolati: il lavoratore musulmano non sembra previsto dall’ordinamento.