A Montecitorio domani (oggi, ndr) tornano in Aula le Dat: il disegno di legge per la cui approvazione c’è gente che sta letteralmente lasciando la vita, volendo dare testimonianza del fatto che non sempre la vita è sufficientemente degna di essere vissuta. Ma mentre la maggior parte della stampa tratta questo tema con un piglio decisamente filo-eutanasico, alcuni di noi continuano a lottare per mostrare la fallacia di tante affermazioni contenute nel testo di legge.



Cerchiamo di farlo in parlamento prima e poi in qualsiasi altro contesto si possa far sentire la nostra voce. Ma è una battaglia durissima contro il tempo, contro i pregiudizi e contro certe mezze verità che vorrebbero essere rassicuranti, mentre in realtà aprono continuamente nuovi spazi di contraddizioni e di reale conflittualità. 



Per esempio l’assenza vistosa di un qualsivoglia riferimento all’obiezione di coscienza, non solo costringe il medico in uno spazio angusto che potrebbe soffocarne la libertà e la sua stessa dignità, ma costringe la struttura ospedaliera a provvedere comunque a soddisfare le richieste del paziente, ponendola in molti casi in conflitto con la sua mission specifica. Penso al Gemelli e al Campus Bio-Medico, ma anche al Bambin Gesù, agli Hospice e soprattutto alla miriade di residenze per anziani, alle istituzioni fondate per accogliere i disabili più gravi, a quelle case di cura in cui approdano pazienti con Alzheimer, depressi gravi, malati di mente, eccetera. 



Tutte strutture nate per farsi carico di persone che meriterebbero un surplus di garanzie, con grande professionalità e con altrettanto grande umanità. Ma nell’attuale impianto della legge (cfr. il comma 10 dell’art. 1) potranno vedersi esposte a dover lasciar morire i loro ospiti o addirittura a fare di tutto per accelerarne la morte sospendendo ogni trattamento, compresa nutrizione e idratazione. 

C’è poi quella genericità incomprensibile all’inizio dell’articolo 3, per cui non si precisa in nessun modo quando le Dat dovrebbero cominciare ad aver vigore. La perdita della capacità di intendere e volere può essere transitoria e revocabile; conseguenza di un trauma facilmente risolvibile oppure legata ad un coma farmacologico, indotto per alleviare le sofferenze del malato. Nulla che legittimi un intervento medico che sospendendo ogni cura e ogni trattamento si trasformi in un piano inclinato che lo conduce rapidamente a morte. Non dimentichiamo che la Englaro era vissuta 17 anni in un regime di assistenza ordinario, ma sono bastati pochissimi giorni senza nutrizione e idratazione per causarne la morte, proprio come era accaduto pochi mesi prima a Terry Schiavo. 

La legge attuale sembra aver perso il contatto con una certa storia pregressa, mentre tenta di giustificarsi presso la pubblica opinione attraverso i recenti casi di dj Fabo e di Davide, a cui sembra che i radicali faranno seguire molti altri viaggi della cosiddetta speranza, che a me piace definire come i viaggi della disperazione. 

Un altro aspetto della legge che non dobbiamo sottovalutare è nell’articolo 2. Quest’inverno tutti abbiamo sperimentato un senso di orrore davanti ai primi casi di eutanasia pediatrica, allorché gli interventi della famiglia hanno voluto sospendere ogni tipo di trattamento a bambini piccoli, che non erano certamente in grado di esprimere il loro consenso a quanto veniva loro somministrato. Non si tratta di accanimento terapeutico, a cui tutti siamo contrari, ma della normale relazione di assistenza ad un bambino disabile, come tanti altri. 

Il crinale lungo cui marcia questa legge è pericoloso, non per le intenzioni degli attuali proponenti, la cui buona fede è facilmente dimostrabile, ma per la mancanza di esperienza che induce a sottovalutare le innegabili applicazioni che si faranno della legge e che sono già in agguato. Deducibili dalla condotta di alcuni, dalla complicità di altri e dagli impegni di molti colleghi che considerano questa legge solo il primo passo, e forse già molto di più!, della futura legge volta a depenalizzare l’eutanasia prima… e poi a legalizzarla!