Si riaccendono i riflettori su una terribile vicenda risalente a quasi tre anni fa e che vede protagonista un’infermiera, accusata di aver ucciso la figlia 40enne – che sarebbe stata consenziente – con una dose massiccia di anestetici. Il motivo è legato alla decisione del gup di Palermo, Fabrizio Molinari, il quale ha disposto una perizia psichiatrica a carico di Anna Cipresso, come avanzato dalla sua difesa, al fine di stabilire se la donna sia capace di intendere e di volere. A ripercorrere le tappe della terribile vicenda è oggi il quotidiano Corriere.it, che ritorna al 19 luglio 2014, quando la Cipresso uccise la figlia Elisabetta, anche lei infermiera, dando poi l’allarme al 118 e denunciandone la morte. Le due donne stavano vivendo una situazione molto drammatica dal punto di vista economico: sfrattate e perseguitate dagli usurai, madre e figlia al momento del dramma si trovavano in un albergo di via Archirafi a Palermo. L’accusa sostenne che Elisabetta era intenzionata a togliersi la vita, e fu aiutata in questo dalla madre che le iniettò una dose letale di anestetici. La difesa, al contrario, aveva avanzato una tesi del tutto differente, ovvero quella della depressione e dei vari tentativi di suicidio messi in atto negli anni dalle due donne. Elisabetta si sarebbe iniettata da sola l’anestetico mentre la madre avrebbe fatto ricorso ad un ansiolitico prima di iniettarsi anche lei il farmaco letale. Tuttavia si sarebbe addormentata e solo al suo risveglio avrebbe trovato la figlia senza vita.
Agli inquirenti, l’infermiera Anna Cipresso aveva spiegato che quel giorno insieme alla figlia avevano acquistato una serie di gratta e vinci con la promessa che si sarebbero uccise se la fortuna non fosse stata dalla loro parte. La donna ha sempre negato di essere stata lei ad uccidere Elisabetta che, a sua detta, si sarebbe suicidata. Per amore suo aveva deciso anche lei di compiere il gesto estremo ma non ci sarebbe riuscita. Anche la Procura sosterrebbe al contrario una tesi opposta: sarebbe stata l’infermiera ad iniettare la dose letale di Propofol alla figlia. Un farmaco ad effetto immediato e che, se Elisabetta lo avesse davvero fatto da sola, non sarebbe riuscita a terminare l’operazione. L’autopsia non ha mai chiarito questo aspetto e la perizia potrebbe fare luce su un caso drammatico di disagio e dolore.