Fa subito discutere il nuovo romanzo di Walter Siti dal titolo “Bruciare tutto” con la critica che in pochissimo tempo si è già divisa tra lo stroncamento senza pietà e l’esaltazione di un nuovo “Dostoevskij”, che patisce, capisce e racconta il male negli abissi dell’uomo con tutte le sue contraddizioni. In una lunga intervista a Repubblica parla il romanziere quasi 70enne che in questi giorni è balzato sulla cresta dell’onda per i contenuti di questo nuovo libro, dalla pedofilia di un prete cattolico fino alla dedica assai polemica a Don Milani passando per un bambino che arriva fino al suicidio nel momento in cui il prete rifiuta le sue “avances” sessuali. Un libro su un prete pedofilo dedicato ad uno dei sacerdoti più progressisti e più importanti della storia del Novecento è quanto di più “scandaloso” viene ritenuto in questi giorni contro Walter Siti, che prova a spiegare la sua “versione” ai colleghi di Repubblica. «Tutto nasce, mentre stavo covando il libro, dall’ aver letto in un vecchio e quasi introvabile libro di Santoni Rugiu ( Il buio della libertà, De Donato-Lerici 2002) alcune frasi dell’epistolario di don Milani», prova a difendersi Siti. In quelle lettere si leggeva, «E so che se un rischio corro per l’ anima mia non è certo di aver poco amato, piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!)» e poi ancora, sempre dall’epistolario di Don Milani, cita Siti, «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto». Il sacerdote di Barbiana usava spesso un linguaggio ai limiti del paradosso per spiegare però la differenza tra bene e male e il dolore infinito che può provare un uomo o una donna di forte alla realtà difficile circostante. Ma qui Siti ha tirato alle estreme conseguenze il suo personaggio nel libro, Don Leo, “idealizzandolo” in Don Milani, probabilmente sbagliando come ammette lo stesso Siti in maniera però ambigua: «Proprio per l’ abitudine di don Milani di parlar franco e crudo, mi pareva che la precisione del lessico segnalasse che quei pensieri gli erano venuti alla mente; se ho sbagliato l’ interpretazione, la dedica è fuori bersaglio».
Non proprio il modo migliore per un romanzo quello di “cominciare” con una dedica ambigua e dai tratti quasi inventati ad uno dei sacerdoti più famosi e apprezzati del Novecento: per Walter Siti, il suo “Bruciare tutto” vuole essere un libro che rivoluziona il senso del male e del peccato, raccontando quanto di più “attuale” e “morboso” si legge nelle cronache di questi mesi. Si tratta ovvero del rapporto Chiesa, preti e sesso, con tantissime storie e cronache (non sempre veritiere) che provano a coinvolgere molti sacerdoti dentro a scandali a luci rosse: «Penso che fin che un desiderio non danneggia gli altri, la legge non ha niente a che farci; ma se la realizzazione di questo desiderio fa danni, la legge è obbligata a intervenire. La pedofilia, in quanto “filia”, cioè desiderio, non è reato; molestare i bambini lo è», spiega Siti alle domane di Repubblica. Don Leo è un po’ Siti, un po’ la cronaca di oggi e un po’ Stavrogin dei Demoni di Dostoevskij (il personaggio demoniaco che violenta una bambina, arrivando poi alla completa pazzia e al suicidio): un mix che però non convince e che mette in scena in maniera forzata i temi di un romanzo tra i più belli e complessi della storia della letteratura, come quello del geniale russo Fedor Dostoevskij. Come osserva un’attenta critica di Alessandro Zaccuri su Avvenire, «La differenza con Dostoevskij non si misura in termini di resa stilistica o di capacità di costruzione, ma nel fatto che l’autore dei Demoni patisce la storia dall’interno, laddove Siti rimane comunque uno spettatore. Implacabile e attentissimo, ma troppo interessato a dimostrarsi estraneo alla vicenda». Un genio mancato? Una libertà senza fede che “giudica” la fede della Chiesa sui temi scottanti della pedofilia? Tutto e il contrario di tutto per Walter Siti. E forse è proprio questo il “peccato” più grave del romanziere italiano.