Le notizie sull’attacco terroristico di Parigi sono ancora incomplete, ma sembra che l’attentatore fosse noto ai servizi di sicurezza francesi come estremista ultra-fondamentalista islamico e fosse perfino già stato in prigione. Se queste notizie saranno confermate, si tratta di un nuovo clamoroso “buco” del sistema francese della sicurezza, che nelle elezioni presidenziali fa certamente il gioco dei candidati più chiaramente di opposizione — anzitutto Marine Le Pen — ma che chi ha governato la Francia negli ultimi anni deve imputare a se stesso prima di gridare alla strumentalizzazione politica. Il sistema messo in piedi in Francia per sorvegliare gli estremisti ultra-fondamentalisti islamici noti, molto semplicemente, non funziona. Sappiamo benissimo che l’Italia può essere colpita domani perché nessun sistema è infallibile, ma quando gli americani additano come esemplare in Europa il modello italiano di prevenzione del terrorismo — nessun attentato grave negli ultimi vent’anni, controllo del territorio affidato ai metodi tradizionali e alla presenza di polizia e carabinieri nei quartieri molto più che all’elettronica, dialogo con le realtà islamiche rappresentative senza pregiudizi laicisti — hanno più di una buona ragione.



Sembrerebbe tutto chiaro e semplice — le capacità terroristiche dell’Isis sconfiggono ancora una volta un sistema di prevenzione inadeguato — se non ci fosse un altro livello di analisi possibile. 

Dal momento che il soggetto, da anni in contatto con reti terroristiche, sembra tutto meno che un pazzo isolato, perché ha colpito a pochi giorni dalle elezioni presidenziali? Cui prodest? A un primo livello, l’Isis ha certamente qualche interesse a una vittoria di Marine Le Pen — che resta possibile al primo ma difficile al secondo turno — perché la retorica anti-islamica del Front National alimenta il risentimento dei musulmani francesi, specie quelli disoccupati e disperati, che è il torbido in cui i terroristi pescano. Gli attentati elettorali, come quello di Madrid che fece perdere le elezioni ad Aznar, sono del resto una specialità dell’ultra-fondamentalismo islamico fin dai tempi di Osama bin Laden.



C’è però anche un secondo livello, di cui pochi parlano e che va certamente accostato con molti punti interrogativi per non rischiare di cadere nel complottismo. Mentre si sparava in Francia, in Russia succedeva qualche cosa di oggettivamente molto più grave dell’attentato di Parigi. Un tribunale russo metteva fuori legge i Testimoni di Geova come organizzazione “estremista”, ne chiudeva i luoghi di culto, confiscava i beni e lasciava a oltre 200mila fedeli russi di questa religione la scelta tra cessare ogni attività religiosa o finire in prigione. Dal momento che per le autorità russe è “estremismo” semplicemente sostenere che la propria religione è vera e le altre sono false, è evidente che ogni altra organizzazione religiosa non simpatica al governo è a rischio, e si stanno già cominciando a colpire Avventisti, Hare Krishna e molti altri.



La Chiesa cattolica ha ragione quando ricorda che la libertà religiosa è indivisibile — non si può reclamarla solo per sé e non per altri —, non può essere aggirata squalificando i gruppi impopolari come “sette” — lo ha detto il Papa a Caserta, chiedendo scusa ai Pentecostali per la collaborazione di cattolici alla persecuzione fascista contro le loro Chiese —, e non è un diritto fra tanti altri ma il pilastro su cui ogni altro diritto sociale o politico sta o cade. Per questo quello che è successo in Russia ai Testimoni di Geova nello stesso giorno dell’attentato di Parigi è davvero molto più grave dell’attentato di Parigi.

Tornano allora gli stessi dubbi che hanno circondato l’attentato di San Pietroburgo, forse meno giustificati di quelli odierni perché non è nella tradizione dei servizi russi mostrarsi deboli nella capacità di controllare il proprio territorio. La Russia sta mettendo in atto in materia di religione una politica repressiva senza precedenti in un Paese democratico, condannata con espressioni fortissime da Onu, Unione Europea e Osce e anche dall’amministrazione Trump che non è certo ostile a Putin. La giustificazione e il pretesto per questa politica è che l’Europa è piena di “estremisti”. E tra i pochi ad appoggiare la politica di repressione russa c’è Marine Le Pen, sulle cui fortune elettorali il Cremlino ha pesantemente investito.

Certo, può darsi benissimo che si tratti di semplici coincidenze. Ma i terroristi, specie quelli che in carcere possono essere entrati in più di un network criminale, sono per definizione manipolabili al di là della loro ideologia. Isis? Può darsi. Ma l’intera vicenda lascia nell’aria un certo odore di servizi segreti.