Quando hai 13 anni il mondo è tutto e tutto il mondo è contenuto in ogni piccolo gesto, ogni oggetto, ogni sguardo incrociato. Se un gesto ti delude, o uno sguardo si volge dall’altra parte, il mondo può crollare. E’ adolescenza, si dirà, quel passaggio traumatico dall’infanzia sicura e protetta dalle braccia di mamma e dalla mano forte di papà che stringe la tua allo stare in piedi da solo.



E dunque si casca e ci si fa male e ci si rialza e si ricasca. Il fatto è che a 13 anni non basta più che mamma e papà vengano a tirarti su, anche se – magari non sempre – loro verranno comunque. A volte anche troppo. E’ che sei tu stesso a 13 anni che vuoi staccarti, devi staccarti, hai il bisogno inestirpabile di stare in piedi da solo, altrimenti non diventerai mai uomo o donna per intero. Resterai sempre un qualcosa di non compiuto se non andrai per la tua strada. 



Il problema è che è tutto molto confuso, dentro di te. Lo sai ma non lo sai davvero, questo desiderio lo senti, ma a volte non lo vorresti. Dentro di te c’è una battaglia devastante.

Uno studioso non molti anni fa ha identificato nell’area destra del nostro cervello quella legata agli impulsi emotivi, all’affettività, alla bellezza, al senso più profondo del nostro io pieno di desiderio. La parte sinistra è invece quella legata all’imparare le nozioni, a regolare la capacità di affrontare i problemi pratici. Questa seconda parte, dice lo studioso, dopo decenni di ideologia scientista e tecnologica ha finito per prendere il sopravvento su quella destra, relegando in un angolo lo sviluppo del nostro io più profondo. Abbiamo cancellato e soppresso il desiderio che ci costituisce nel più profondo dell’essere, mentre prima le due parti si equivalevano in modo bilanciato, una sorreggendo l’altra.



Può capitare che in qualcuno la parte destra del cervello torni di prepotenza a reclamare il suo ruolo, ma quando il nostro io si è irrimediabilmente spezzato.

L’altro giorno una ragazzina di 13 anni di Mirano in provincia di Venezia è andata nel giardino di casa, ha aspettato che i genitori fossero lontani dalla vista, ha preso la corda che aveva con sé, l’ha gettata su un ramo e si è impiccata. I genitori l’hanno vista penzolare e sono corsi a tirarla giù. Adesso è ricoverata in prognosi riservata, le condizioni sono gravi. Nessun biglietto, nessun messaggio, nessun apparente problema a scuola o con gli amici. Si dice di una delusione sentimentale (uno sguardo che non ha accolto il suo?), si indaga, come ormai sempre si fa, sul possibile cyberbullismo. 

Due anni fa poco lontano da qui, a Verona, un’altra ragazzina di 13 anni aveva fatto lo stesso, nel giorno del suo compleanno. Si era impiccata alle ringhiere del balcone, morendo sul colpo. Non aveva problemi a scuola, non c’erano stati episodi di bullismo. C’era qualche problema con i genitori, seguiti dai servizi sociali non si sa per quale motivo. Ma aveva lasciato un biglietto: “Morirò con il sorriso sulle labbra”.

Quando il cuore esplode di troppo desiderio, di troppa malinconia, tutto il mondo può esplodere. Non c’è nessun padre o madre che può raccogliere quei pezzi, inutile fare indagini sociologiche e quant’altro. Siamo soli. Il suicidio non è solo un grido di aiuto inascoltato. Esso è segno di un desiderio troppo grande che vuole prendere tutto il mondo. Semmai è un grido gridato al posto nostro che non sappiamo più urlare il nostro bisogno.

Quando avevo 13 anni mia madre mi regalò un libricino dei Peanuts che ancora conservo. Per qualche motivo a fronte dei tanti regali più costosi che ho avuto per tutta l’adolescenza è sempre rimasto il mio preferito. Dentro ci aveva messo una dedica. Quel libricino mi ha sempre dato un senso di malinconia infinito. Solo molti anni dopo ho capito perché: con quel regalo mi veniva detto che un tempo era finito e adesso ne cominciava un altro, ma allo stesso tempo avevo qualcosa a cui restare attaccato, come un salvagente misterioso. Sono stato fortunato, perché la battaglia devastante dentro di me era molto forte anche per condizioni familiari particolari. Così vorrei regalare quello stesso libricino a quelle due ragazzine. Non salverebbe loro la vita, perché nessuno è uguale a un’altra persona. Allora lo regalerei ai genitori, perché sappiano che non hanno fatto niente di male. Il mistero di cui siamo fatti è troppo grande per essere spiegato. Va custodito e rispettato.