Tra due giorni si tornerà in aula in occasione del processo per l’omicidio di Lidia Macchi. Un appuntamento con la giustizia importante, soprattutto dopo il colpo di scena registrato nel corso della passata udienza, la prima del procedimento che vede imputato Stefano Binda, il 50enne arrestato il 15 gennaio dello scorso anno e ritenuto il vero assassino della ventenne uccisa con trenta coltellate il 5 gennaio 1987. Il pilastro dell’accusa ruoterebbe interamente attorno ad una lettera, inviata ai genitori di Lidia Macchi nel giorno del funerale della vittima. Un manoscritto intitolato “In morte di un’amica” e che sarebbe stato scritto proprio dal presunto assassino di Lidia Macchi. Binda ha sempre negato di essere stato lui a scriverla, sebbene la lettera rappresenti l’elemento della svolta nel caso, nel 2014, in quanto una donna avrebbe riconosciuto nella calligrafia proprio la scrittura del 50enne. Secondo una perizia calligrafica, Stefano Binda è ritenuto il vero autore della lettera. Eppure, nel corso della prima udienza, come riporta il quotidiano Libero, sarebbe sopraggiunto a sorpresa un colpo di scena, rappresentato da colui che viene definito il “testimone 101” e che chiede di restare anonimo. Quattro giorni prima dell’inizio del processo, il noto avvocato Piergiorgio Vittorini ha inviato una importante comunicazione al presidente della Corte, al pg Gemma Gualdi e ai difensori di Stefano Binda nella quale si legge: “Ho incontrato una persona che si dichiara il vero autore della lettera attribuita invece all’imputato. La stessa persona mi incarica di rendere edotta la Corte e di testimoniare nei limiti del mandato professionale”.



Gli avvocati di Stefano Binda, presunto assassino di Lidia Macchi ed a processo in Corte d’Assise, dopo la clamorosa novità che potrebbe rivedere le sorti dell’uomo accusato, hanno chiesto che la persona (della quale non si conosce neppure il sesso) possa essere inserita nella lista dei testimoni (attualmente sarebbero cento e, in caso affermativo, diventerebbero 101, da qui il nome attribuito al teste). Una richiesta che ha scaturito varie reazioni anche se alla fine il collegio si è espresso positivamente, sebbene non sarà presente nella prossima udienza. Per la difesa della famiglia Macchi questo rappresenterebbe l’ennesimo tentativo di depistaggio delle indagini. A tal proposito, l’avvocato Daniele Pizzi a Quarto Grado ha sostenuto: “Questa circostanza è ahinoi vera e altrettanto disarmante e inquietante quando c’è una persona in carcere da un anno e mezzo sulla base di questo indizio e di altri”. Anche Picozzi, intervenendo in studio, ha specificato: “Se questo testimone è un mitomane, una comparazione sulla calligrafia ci dice in tempi ristretti se è lui o meno l’autore”. Per la difesa della famiglia Macchi, quanto accaduto è stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno: “Noi non siamo contraria alla testimonianza di questa persona. Ma che esca allo scoperto con nome e cognome, no dall’avvocato che viene inviato come una sorta di paravento che ha già annunciato che si avvarrà del segreto professionale e che non farà nome e cognome del testimone”, ha commentato l’avvocato Pizzi. A sua detta, se ciò accadesse “sarebbe allarmante perché introdurrebbe nel processo un elemento di suggestione”. Dopo trenta anni di indagini, invece, a sua detta sarebbe doverono porre una maggiore attendibilità rispetto alle esternazioni del testimone 101, magari eseguendo anche un test del Dna e confrontandolo con quello rinvenuto sulla busta della lettera. L’avvocato Vittorini, intanto, alla trasmissione ha specificato come terrebbe a precisare che dopo aver sentito la persona in questione, ha dovuto accogliere l’incarico e ha accettato. “Mi sento di dover venire in aula umanamente e non solo deontologico”, ha riferito all’inviata. Contro le parole del teste ci sarebbero anche quelle della sorella di Binda che, intercettata, aveva asserito di riconoscere la calligrafia del fratello oggi a processo.

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