Ci sono sei persone indagate per i 29 morti sotto la slavina a Rigopiano, lo scorso 18 gennaio. I pm Cristina Tedeschini e Andrea Papalia hanno ipotizzato i reati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose. Gli atti sono stati notificati al presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco, al dirigente provinciale delegato alle Opere pubbliche Paolo D’Incecco, al responsabile della Viabilità provinciale Mauro Di Blasio, al sindaco di Farindola Ilario Lacchetta, al geometra comunale Enrico Colangeli e all’amministratore unico della società di gestione del resort e direttore Bruno Di Tommaso, indagato anche per non aver previsto il rischio slavina nel documento per la sicurezza. 



Era il 18 gennaio quando la mattina si susseguirono forti scosse di terremoto e poco dopo una valanga precipitò sull’Hotel Rigopiano. C’erano quaranta persone tra ospiti, titolare e lavoratori. La strada di collegamento era bloccata da oltre due metri di neve. Per i magistrati la strada, di competenza provinciale, doveva essere libera e percorribile. Il giorno prima della tragedia alcune macchine dei clienti erano state fatte salire fino all’albergo, accompagnate dalla Polizia stradale, nonostante le previsioni del tempo annunciassero un’ondata di maltempo molto forte. La Provincia aveva una turbina, fuori uso per problemi meccanici e quindi inutilizzabile. 



Toccherà alla magistratura accertare se ci sono colpevoli, se le morti, con un lavoro accurato, potevano essere evitate. L’avvocato Roberta Verginelli che difende i familiari di alcune vittime ha raccontato le loro prime reazioni. “Abbiamo parlato con i nostri assistiti, che sono felici perché qualcosa si sta muovendo ma sono scontenti di non aver visto tra gli indagati i nomi di altri soggetti nei confronti dei quali identificano delle responsabilità per quanto accaduto. Per le famiglie delle vittime si inizia ad intravedere una luce di giustizia e sono liete che quanto meno la magistratura stia facendo il proprio dovere. Colpisce, invece, il totale silenzio delle istituzioni, visto che nessuno si sta preoccupando delle conseguenze di quanto accaduto sulla vita dei superstiti e dei familiari delle vittime. Basti pensare al caso clamoroso del piccolo Edoardo, che ha perso i suoi genitori e che non ha visto nessuno degli enti più vicini porsi il problema di come potrà crescere il bambino e di come potrà andare avanti”. 



E questo è un dramma che ha più significati di mille inchieste e di tanti colpevoli. Lui c’è, esiste, ma nessuna sentenza, positiva o negativa, potrà ridargli i suoi genitori.

A raccontare cos’era Rigopiano, a descrivere l’eccezionalità dell’evento, un ambientalista, originario di Farindola, molto noto in Abruzzo, Mario Maran Viola. Su quanto accaduto ha svolto un’analisi molto ampia. Questo stralcio non vuole assolvere nessuno, ma deve far riflettere sulla realtà storica della zona. Poi, che la strada avrebbe potuto essere sgomberata dalla neve se ci fossero stati i mezzi idonei, è un’altra storia. “Conosco tutti gli aspetti di questa montagna (geomorfologici, carsici, idrici, vegetali, faunistici, storici). Avevo 5 anni quando, nel 1950, mio padre mi portò a Rigopiano per la prima volta, in occasione della Festa degli Alpini, per assistere all’inaugurazione del primo sbancamento relativo alla costruzione della nuova strada per Vado di Sole e Campo Imperatore. Ricordo le emozioni che provai nel camminare sulla prateria, nell’osservare l’estesa foresta di faggi, nel vedere da vicino le cime dei monti San Vito, Siella e Coppe, le tante pecore, mucche, vitelli, muli, asini e cavalli al pascolo, i due rifugi “Tito Acerbo” e “Rigopiano”, i fontanili, il vivaio forestale sperimentale e le due stinzie per i pastori. Un ambiente integrale, un paradiso terrestre nel quale l’uomo aveva saputo collocare armonicamente nel paesaggio i fabbricati, nei punti ritenuti più sicuri. I suddetti rifugi furono costruiti nella prima metà del secolo scorso, sulle rovine della chiesa alto-medievale e medievale benedettina di Santa Cecilia con annessi convento e foresteria, dipendente, nel IX sec. d.C., dall’Abbazia di Montecassino (Carta Archeologica della Provincia di Pescara redatta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici per l’Abruzzo). Il complesso architettonico costruito su un preesistente luogo di culto antico italico-romano, svolgeva la funzione di punto di sosta e ristoro di pellegrini, pastori, soldati e mercanti, sulla direttrice dell’antica via di comunicazione dalla costa adriatica alla costa tirrenica, Atri-Penne-Farindola-Rigopiano-Vado Siella-Campo Imperatore-Paganica-L’Aquila-Roma. Il canalino est “la Genzianella”, che parte dall’anticima del Monte Siella, a quota mt. 2000, aveva generato quasi sempre piccole slavine che si fermavano alla sommità della foresta. Il suddetto canalino, che ho risalito tante volte fin da ragazzo, presentava una copertura di faggi di alto fusto e mostrava pochi sassi affioranti dal colore grigio tipico delle rocce anticamente cadute. La conoide, inattiva da tempi antichi (fossile), non è stata mai più ricaricata dalla caduta di valanghe. A testimonianza della sua inattività erano presenti sulla sua superficie prativa a valle della strada provinciale per Vado di Sole, prima del 18 gennaio, esemplari di faggi maestosi che variavano dai trecento ai quattrocento anni, a dimostrazione che da circa mezzo millennio non vi erano cadute le valanghe”.