Mentre si attende la prima udienza del processo d’Appello a carico di Massimo Bossetti, nei prossimi giorni si svolgerà un incontro simbolico molto importante. Quello tra i genitori di Yara Gambirasio e i tifosi della Curva Nord dell’Atalanta, come rivelato dal Corriere dello sport. Dalla passione della vittima per lo sport (era una promessa stella della ginnastica artistica) e dalla dignità immensa della sua famiglia è nata La Passione di Yara, un’associazione Onlus sostenuta dall’Atalanta, dalla Curva Nord, dall’Associazione Tifosi dell’Atalanta (Ata). Dal giorno della tragedia, Fulvio e Maura, padre e madre della vittima, sono sempre rimasti nell’ombra ma questa volta hanno deciso di rompere il silenzio “perché vogliamo aiutare gli adolescenti e i giovani a realizzare i loro sogni, a incoraggiarli nelle loro fatiche, ad accompagnare il loro impegno. Non c’è modo più bello di ricordare la nostra Yara”. “L’associazione vuole essere un piccolo strumento per sostenere le passioni sportive, artistiche e culturali dei ragazzi”, ha aggiunto il padre di Yara. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
Il processo su Massimo Bossetti che avverrà nelle prossime settimane (il 30 giugno la prima udienza) potrebbe vedere una revisione completa a partire dal medesimo punto dolente che ha portato alla prima condanna contro il presunto assassino di Yara Gambirasio. Quel dna e quella prova portata dall’accusa con decisione contro il muratore di Mapello: la difesa punta invece sulla revisione totale vista la presunta contaminazione della prova regina trovata sulle mutandine della giovanissima ragazza uccisa e violentata. Per legge non vi è obbligo di revisione anche se fosse provata la contaminazione del dna: questo genera una seria di dibattiti da mesi tra costituzionalisti, esperti forensi e criminologi. Secondo un noto giudice, Edoardo Mori, il problema di tale paradosso dna-legge deve essere risolto: «In Inghilterra è molto frequente la revisione di processi quando si scopre che una metodologia impiegata da un laboratorio non era adeguata al caso. In paragone la situazione italiana è a dir poco penosa». Per il giudice però, preso atto di questo punto, «sarà importante lavorare in senso produttivo, onde colmare tale lacuna legislativa attualmente intrinseca nel sistema giudiziario e assicurare e garantire così il diritto alla difesa dei cittadini». (agg. di Niccolò Magnani)
Nei prossimi mesi i riflettori torneranno ad accendersi nuovamente su Massimo Bossetti, presunto assassino della giovane Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate uccisa nel novembre 2010. In realtà, su di lui le luci della ribalta non si sono mai spente dal giorno della sua condanna all’ergastolo, lo scorso primo luglio, quando la Corte d’Assise di Bergamo, al termine di un lungo processo di primo grado, lo ha definito il solo responsabile dell’uccisione e dell’occultamento di cadavere della promessa stella della ginnastica artistica. Per tale ragione lo ha condannato al carcere a vita sulla base di una serie di indizi ma soprattutto di una prova definita “regina”, ovvero il suo Dna, attorno al quale la difesa è pronta a dare nuovamente battaglia. Il prossimo 30 giugno, alla vigilia del primo anno vissuto da Massimo Bossetti nei panni di ergastolano, l’imputato sarà di fronte alla Corte d’Assise d’Appello di Brescia, in vista dell’inizio del secondo importante capitolo giudiziario dell’intricata vicenda che ha spaccato in due l’opinione pubblica. L’intento della difesa del muratore in carcere è sempre quello di dimostrare la totale innocenza del proprio assistito. In attesa dell’inizio del processo d’Appello, come rivela UrbanPost.it nei giorni scorsi è stata trasmessa l’ultima interessante puntata del documentario realizzato dalla Bbc e trasmesso su Sky Atlantic, dal titolo “Ignoto 1 – Yara, Dna di un’indagine”. Anche l’ultimo episodio del documentario che si pone come obiettivo quello di ricostruire le principali tappe del giallo, parte dal possibile movente del delitto di Yara Gambirasio, secondo l’accusa realizzato da Massimo Bossetti. In seguito all’arresto del muratore di Mapello, al quale si giunse attraverso il Dna inizialmente attribuito ad Ignoto 1, la Procura si mise a caccia di un possibile movente e per tale ragione fu minuziosamente scandagliata la vita privata dell’indagato. Il pm Ruggeri, nel contestare a Bossetti le aggravanti della crudeltà e delle sevizie, parlò di un “maldestro tentativo di approccio sessuale”, in seguito al cui rifiuto da parte della vittima, il suo presunto assassino la uccise “per uno scarico d’ira”. Una tesi, quella del movente sessuale, mai di fatto confermata da elementi oggettivi, quindi rimasto sempre ipotizzato e presunto, come rimarcato dallo stesso pm. A compromettere la posizione dell’indagato anche le ricerche compiute su internet dal suo pc e che confermavano un certo interesse per giovani protagoniste femminili in siti a luci rosse. Su questo fronte, la difesa di Massimo Bossetti ha sempre cercato di ribaltare l’immagine emersa anche nel corso del primo grado, descrivendo l’imputato come un padre ed un marito modello, “che mai avrebbe potuto macchiarsi di un omicidio di questa natura”. Differente, invece, la tesi della pubblica accusa, che contrariamente ha evidenziato un’immagine di Massimo Bossetti del tutto opposta a quella avanzata dalla sua difesa: “Tutto detto per fare teatro… hanno cercato di dimostrare che un uomo come Bossetti non poteva aver commesso quel tipo di omicidio e invece no, a lui piacevano le ragazzine ed era assettato dal sesso…”. Dal 30 giugno tutto sarà azzerato e saranno i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Brescia a dover giudicare il muratore di Mapello, già condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio. A loro, lo stesso Massimo Bossetti, nei giorni scorsi ha scritto chiedendo che possa essere fatta finalmente luce su un caso che, a sua detta, vedrebbe il vero responsabile ancora libero.